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“Ragazzi della terra di nessuno” di Gianni Solino Raffaele Lupoli, estratto da “La Nuova Ecologia”

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Un diario civile che dal personale sfocia nel generazionale.

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Un ritratto della meglio gioventù dell’agro aversano: quel «fiume carsico» che, talvolta alla luce del sole talaltra sottotraccia, non molla la presa nella lotta contro lo strapotere della camorra. Ma anche un collage di storie di ordinaria convivenza tra casertani brava gente, criminali incalliti e innocenti travolti. Ognuno di questi racconti è un possente braccio che esce dalle righe e trascina dentro il lettore. Con “Ragazzi della terra di nessuno” (Edizioni La meridiana, collana Passaggi, 120 pagine, 12 euro) Gianni Solino, sindacalista da sempre impegnato sul fronte antimafia con la Scuola di pace e il Comitato don Peppe Diana, aggiunge un tassello importante a quello che è già stato raccontato sul clan dei Casalesi e sulla terra da cui è partito per espandersi nel Centro-nord e all’estero.

 

A partire da Gomorra, efficaci penne di scrittori e cronisti hanno raccontato il “sistema”: la potenza economica, i processi, le alleanze, le faide e le scellerate gesta di quelli che con un termine da abolire vengono definiti boss. Nessuno aveva ancora risposto a una domanda che tanti fuori da Terra di lavoro si pongono: ma come vivono le persone oneste a Casal di Principe, Villa di Briano, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino?

Questa raccolta di esperienze realmente vissute porta il lettore nelle case della gente comune, racconta le strade di “Gomorra” con gli occhi di chi, come milioni di persone nel mondo, la mattina esce per andare a lavoro o la sera decide di fare una passeggiata con la famiglia. Nel feudo dei Casalesi, però, queste storie qualunque hanno un epilogo fuori dal comune. Esci dalla messa e ti ritrovi nel bel mezzo di una sparatoria. Lasci aperto il portone di casa in attesa di tuo figlio e un malvivente ferito e armato ti tiene in ostaggio per ore. Se fai il perito delle assicurazioni rischi di essere rapito assieme ad altri colleghi per una notte intera e costretto a partecipare a una maxi-truffa. E se sei un commerciante non puoi stare tranquillo neanche quando paghi il pizzo.

 

Gli appunti della “memoria civile” di Gianni Solino sono il ritratto in chiaroscuro (e mai oleografico) delle ferite e delle speranze di questa “terra di nessuno” in cui ormai anche le parole hanno perso il loro significato: se “Diego non si trova” siamo davanti a un caso di lupara bianca, se un criminale va a “fare un pezzo” qualcuno non tornerà vivo a casa, se “papà lavora fuori” il figlio dovrà aspettare che si riaprano le porte del carcere per rivederlo.

«A parlare si può correre qualche rischio – scrive l’autore – A volte però a stare zitti si rischia molto di più». Sarà per questo che Solino continua con questo libro a coltivare il “vizio” della parola, per restituirle dignità. Perché spesso da queste parti tutti sanno ma nessuno apre bocca. «A farsi i fatti propri si vive cent’anni. Se non muori avvelenato» commenta con l’amaro in bocca raccontando dei trafficanti di rifiuti che hanno riempito di veleni le cave della “superstrada” Nola-Villa Literno, a ridosso di case e campi coltivati.

La parola scritta serve all’autore per alimentare e portare alla luce il fiume carsico della speranza personale e collettiva, tenendo aperta la discussione su quello che è stato, quello che è e quello che dovrebbe essere. Così il diario si fa agenda.

 

È un libro commovente “Ragazzi della terra di nessuno”, consapevole che a Casale e dintorni si può ancora scegliere da che parte stare anche se le alternative sono poche e rischiose. Non c’è spazio per la rassegnazione dunque. E non solo nell’ultimo racconto, quello a lieto fine in cui Luciano viene salvato dall’amore di una ragazza. Sono tanti i raggi di sole che fanno dire al presidente di Libera don Luigi Ciotti nella prefazione che questa terra «da alcuni anni sta cominciando ad appartenere ai cittadini che la abitano». Basta pensare a Vincenzo, il giovane studente che smuove mari e monti per ritrovare il suo amico Angelo, sottratto alla loro amicizia dal “programma di protezione” perché suo padre aveva fatto «l’infame» collaborando con la giustizia. Poi ci sono i murales disegnati sui muri di Casal di Principe da Felice Pignataro, del Gridas di Secondigliano, nel secondo anniversario dell’assassinio di don Peppe Diana. Con la scritta “Anche l’inverno ha nel cuore la primavera”, diventata il motto della Scuola di pace a lui intitolata. Da questi raggi di sole “Ragazzi della terra di nessuno” ci invita a ripartire per strappare dal cuore dell’inverno la primavera dell’agro aversano.

 

 


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