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Attualità
Quelle mezze banconote… Giuseppe Magliulo

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Prima che qualcuno possa (in cuor
suo, certo) contestarmelo, lo dico io: “Voglio vestire i panni del qualunquista”. E vorrei brevemente
intervenire sulle più che collaudate “tecniche” di accaparramento del consenso
elettorale. Volgarmente e più direttamente: sulle modalità per raccogliere
quanti più voti possibile.

 

Nel tempo, ne abbiamo sentite di
tutti i colori e, direi, quelli con le casacche di tutti i colori ne hanno
inventate mille e una. All’epoca della vecchia
D.C. (una sorta di vecchia signora del
calcio), odiata, ma rispettata ed, ora, addirittura rimpianta alla luce dello
sfacelo della politica, cui assistiamo, si prometteva il mitico posto alle….Poste (Gava docet), più miseramente,
in occasione delle tornate elettorali amministrative, si assisteva al pagamento,
da parte di “galoppini” degli aspiranti consiglieri, di mazzette cospicue di
bollette della luce o, ancora, si assisteva al miracoloso incremento nella
vendita di televisori, che, altrettanto miracolosamente, a scrutinio terminato,
andavano ad illuminare con la loro luce bluastra le misere stanze della
popolazione meno fortunata.
>>>continua>>>

Che dire, poi, della più volte
raccontata – ma mai ne ho presa diretta visione! – “separazione” in due parti
precise delle banconote da 50.000 lire un tempo, da 50 euro oggi. Separazioni
che sfociavano, poi, proprio come nei matrimoni più turbolenti, in magiche
riconciliazioni e riassemblaggi all’indomani delle elezioni, una volta
effettuate le verifiche del caso e, dunque, acclarata la opportunità e sussistenza
delle condizioni per procedere alla riunificazione e riconciliazione stesse.

Questi metodi antichi e, forse,
ancora non del tutto “banditi” (participio passato del verbo bandire, ma se
qualcuno ha la proverbiale
coda di paglia…faccia
pure!!!) hanno sempre indotto un’amara riflessione in me.

Più volte, da più parti ed ogni
volta che si profila all’orizzonte una tornata elettorale, ci si ritrova di
fronte ad un accorato quanto gratificante invito:
“Facciamo una lista delle persone per bene”.

Missione, a mio parere,
impossibile.

Intanto, perché dovremmo
(chi, poi?) avere un parametro certo, conoscere la soglia al di dentro della
quale si è
per bene (non si dice
“perbene”) e al di là della quale non lo si è. Ma se anche la soluzione a tale
problema di “selezione” fosse possibile, certamente non si andrebbe lontano,
anzi non si riuscirebbe neanche a partire.

Il perché è più che palese: le
persone che vogliamo definire oneste, perbene, non avrebbero alcuna
possibilità di ricevere numericamente il consenso necessario, proprio perché,
dall’alto del loro senso etico, mai e poi mai sarebbero disposte ad
accaparrarselo coi metodi sopra esposti.

Dei veri e propri “nani”,
elettoralisticamente, di fronte ai “titani” donatori di televisori, pagatori di
bollette e spacciatori di banconote.

Allora? Che si fa? Occorre essere
più realisti del re e – non già deporre, ma – neanche imbracciare le armi?

Io una soluzione,
provocatoria, certo, ce l’avrei, ma delegherei il tutto a chi fosse, eticamente,
disposto a metterla in campo.

Quelli “per bene” dovrebbero, per
un tempo limitato, travestirsi da soliti noti della politicastra di bassa lega,
per poi fare un “voltafaccia”, con tanto di
marameo, magari.
Per bene e traditori.

Ecco la mia ricetta. Agire, in
campagna elettorale, da delinquenti, promettendo, a destra e a manca, questo e
quello, per, poi, una volta ottenuta la vittoria, passare al tradimento, al
voltafaccia clamoroso. E comportarsi da quelli che realmente si è, persone
oneste, che nulla devono chiedere alla politica per sé stessi, ma solo per il
bene comune, amministrando senza assecondare le istanze, più o meno,
interessate se non proprio illegittime dell’amico di turno o del
guappariello di quartiere.

 Ma c’è un ma.

Occorrerebbero cospicui capitali
per comprare il consenso, capitali non recuperabili attraverso l’attività
politica degli onesti, perché ciò ripugnerebbe al loro stesso senso etico.

Allora? Fine del sogno?
Riflettiamo un po’. Forse non c’è davvero una via di uscita.

Non ci resta che sperare che Dio
ce la mandi buona. Ma i miracoli – ne ho sentito parlare – esistono.

 


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