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Questa pagina contiene un singolo articolo inserito il 19.11.07 20:29.

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Il professionista marginale deve pagare o no l'IRAP? Il Fisco lo sa, ma non lo dice Giammarco Partilora

medico.bmpPuò capitare che il benemerito servizio di interpello svolto dall'Agenzia delle entrate perda qualche colpo. E' quello che è successo con un medico di famiglia ormai pensionato, che ogni tanto svolge qualche supplenza durante le ferie dei colleghi, e ha chiesto all'Agenzia di confermargli che effettivamente – come stabilito da numerose sentenze della Corte di cassazione – non dovrebbe essere soggetto all'Irap in quanto privo di un'autonoma organizzazione. Ma l'Agenzia se n'è lavata le mani: non possiamo dire nulla, ha spiegato, perché per saperlo occorrerebbe svolgere nientepopòdimenoche “una complessa indagine di fatto”. Neanche fosse un caso di fusione di società. E il povero medico che fa il supplente come si deve comportare? Paghi e faccia ricorso, questo è il succo della risposta. Proprio come accadeva dieci o venti anni fa, quando di statuto del contribuente non si era neanche cominciato a parlare.
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Con una recente risoluzione (la n. 326 del 13 novembre '07) l'Agenzia delle entrate ha affrontato ancora una volta, senza però decidersi a risolverla, l'annosa questione dell'applicabilità dell'Irap ai professionisti marginali. In questo caso si trattava di un medico di famiglia, che dopo la pensione ha continuato l'attività facendo saltuarie sostituzioni di colleghi nei loro studi.
Considerato che non utilizza mezzi propri tali da configurare la sua attività come "autonomamente organizzata", e vista la famosa sentenza n. 156/2001 con la quale la Corte Costituzionale ha escluso l'applicabilità dell'Irap nel caso di attività professionale svolta in assenza di elementi di autonoma organizzazione, l'interessato si è dichiarato convinto di non dover compilare il quadro Irap da allegare al Modello Unico e di aver diritto al rimborso di quanto pagato per l'Irap dal 2003 ad oggi.
L'Agenzia delle entrate ha risposto richiamando le sentenze della Cassazione nelle quali sono esposte le condizioni perché un professionista possa essere esentato dall'Irap: tra cui, appunto, il fatto che si avvalga di mezzi che costituiscono un mero ausilio della sua attività personale, non sia il responsabile dell’organizzazione ma sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e si avvalga in modo solo occasionale di lavoro altrui.
Sulla base di queste indicazioni sembrerebbe evidente che un medico dedito a semplici attività saltuarie di supplenza non si trova nelle condizioni per essere assoggettato all'Irap. Ci si doveva aspettare quindi che l'Agenzia lo comunicasse all'interessato, ovviamente precisando, a titolo cautelativo, che l'esenzione era subordinata all'effettiva veridicità di quanto asserito nella richiesta di parere.
Niente di tutto ciò, perché l'Agenzia se l'è cavata affermando testualmente che “la determinazione del trattamento tributario applicabile, ai fini dell'IRAP, alla fattispecie rappresentata dall'istante, presuppone, in assenza di disposizioni normative che individuino specificamente gli elementi da cui è desumibile la sussistenza del requisito dell'organizzazione, una complessa indagine di fatto che non può formare oggetto di interpello, quale strumento volto alla definizione della portata e dell’ambito applicativo della norma tributaria.” Fine.

Questa risposta o meglio questa “non risposta” solleva una serie di interrogativi. Quale aiuto ha dato l'Agenzia al contribuente che si era rivolto fiduciosamente a lei per sapere come comportarsi? Cosa deve fare, dopo questo parere, l'anziano medico autore del quesito: smettere di pagare l'Irap esponendosi al rischio di salate penalità, salvo poi dover intraprendere costosi ricorsi davanti alle Commissioni tributarie per far valere i propri diritti, o continuare a pagarla con la consapevolezza di essere sottoposto a un'ingiustizia?
L'Agenzia ritiene questo suo comportamento conforme ai principi di buona fede sanciti dallo Statuto del contribuente? E in ogni caso, le precise indicazioni date ormai ad abundantiam dalla Cassazione e dalla stessa Corte costituzionale non bastano a surrogare – per capire chi è soggetto all'Irap e chi no - “la mancanza di disposizioni normative”?
E ammessa o non concessa la necessità di una legge, perché l'Agenzia delle entrate, che promuove ogni anno decine di provvedimenti legislativi, non si decide a proporre delle norme capaci di fare definitivamente chiarezza su questa tormentata materia? Forse perché fa comodo rastrellare soldi dai piccoli, onesti professionisti come il medico in parola, ben sapendo che il grosso dei colleghi che lavorano in proprio continua a frodare tranquillamente il fisco, anche dopo le recenti norme, col solito sistema “ti faccio lo sconto se non vuoi la ricevuta”? Oppure si vuole incentivare il contenzioso tributario, in controtendenza con tutte le affermazioni circa la necessità di prevenire le controversie anziché coltivarle? E non ci si rende conto del ridicolo di affermare che servono “complesse indagini di fatto” per capire se un micro-professionista marginale, una specie di precario della salute, è fornito di “autonoma organizzazione”? Non sarebbe meglio riservare queste “complesse” (e costose) indagini ai troppi professionisti che evadono alla grande oppure alle grandi aziende come la Parmalat, che per anni presentava bilanci totalmente falsi senza che nessuno da quelle parti se ne sia mai reso conto? E per finire: Ponzio Pilato si è trasferito all'Agenzia delle entrate?

 

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