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Questa pagina contiene un singolo articolo inserito il 23.04.08 17:43.

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Analisi di una disfatta Gino Nobili *

PD logo.jpg

A far data alla disfatta, l'unico che ancora non ha mostrato il minimo segno di dignità politica e personale è proprio il suo principale artefice.

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Abbandonata (almeno per ora) la scena politica i vari Bertinotti, Boselli, Mussi, Pecoraro Scanio, sottolineata persino dal re della tronfiaggine Giuliano Ferrara la propria sconfitta chiamandola pernacchia, Walter Veltroni invece di suicidarsi come avrebbe fatto un giapponese, o dimettersi come avrebbe fatto un politico di qualunque altro paese democratico, minaccia di restare in sella a quello che resta del centrosinistra italiano. Eppure i suoi errori sono macroscopici, e può ben dirlo chi non aveva mancato di evidenziarli quando i loro effetti non si erano ancora manifestati.

 

I fatali errori

- non si affrettano le tappe della creazione di un partito unico in vigenza di una legge elettorale di stampo proporzionalistico; se si è al governo, prima si cerca a tutti i costi di inserire correttivi di tipo maggioritario, e se non ci si riesce si accantona o si ridefinisce il progetto;

- non si dichiara "alle prossime elezioni correremo da soli" quando in teoria le prossime elezioni dovrebbero tenersi tre anni e mezzo dopo: come minimo questo significa che il pezzo più grosso dei partiti di governo pensa che invece le elezioni saranno prima, come massimo è uno schiaffo a chi fedelmente sta sostenendo la maggioranza a costo di rinunciare alla propria identità (la sinistra radicale), e in mezzo c'è il messaggio più o meno volontario a chi non ha speranza di sopravvivere se passano correttivi maggioritari (es. Udeur) che bisogna far cadere il governo prima che Napolitano indica il referendum sulla legge elettorale (poco importa che poi Mastella non sia sopravvissuto ugualmente: facendo cadere il governo ha colto il messaggio veltroniano e si è data un'ultima chance...);

- non si provoca (e non è un'attenuante se lo si è fatto inconsapevolmente) la caduta del proprio governo quando ha appena miracolosamente approvato la seconda finanziaria di lacrime e sangue e si appresta forse finalmente a spendere il troppo annunciato tesoretto, e così forse a recuperare un po' di popolarità;

- non ci si ostina a "correre da soli", anche se lo si è annunciato (i suoi avversari negli ultimi tre mesi hanno capovolto numerose volte la loro strategia politica: ricordate Fini dopo il "discorso del predellino"?), quando è evidente che ciò condurrà alla sconfitta elettorale, visto anche che il governo è caduto nel punto più basso della curva di popolarità, sperando che continui annunci di rimonta creino un effetto "previsione autoadempientesi", con l'unico effetto di portare a sé col ricatto del "voto utile" alcune centinaia di migliaia di elettori di sinistra (e dunque divenendo responsabile diretto della scomparsa della sinistra dal parlamento italiano, visto che egli stesso ha tenuto a definire "non di sinistra" il proprio neonato partito);

- non si rinuncia, sovrastimando il ritorno in termini di "apprezzamento della sportività", agli attacchi diretti al proprio avversario perfino quando la reciprocità viene meno e il proprio avversario comincia a giocare sporco, a meno che il proprio obiettivo massimo - peraltro poi fallito anch'esso - non sia una sconfitta dignitosa.

Ma a questo punto vogliamo fermarci, e andare oltre le mosse suicide di Uolli. Con la speranza che presto qualcun altro, che ragioni con la testa almeno come il suo pericolosissimo avversario, ne prenda il posto. Per questo serve una disamina seria, che parta dai dati elettorali. Vediamoli.

 

Un'Italia divisa in due

La seconda repubblica emersa da Tangentopoli e l'ingresso in scena di Berlusconi hanno delineato un ritratto preciso del nostro Paese, che nei suoi tratti fondamentali non è cambiato dal 1994, e forse era così anche prima ma l'assenza di un catalizzatore come il Cavaliere ne diminuiva l'evidenza: esiste diciamo circa un 45% degli italiani che si riconosce nel sistema di valori rappresentato dal Nano di Arcore.

Egli è infatti la vera e propria incarnazione di una parte ben precisa dello spirito patrio: furbizia, interesse personale e immediato innanzitutto, favori anziché diritti, "amicizia" e non fratellanza, eccetera eccetera. E' probabile che questo zoccolo duro "albertosordiano" avesse tale consistenza ben prima della famosa "discesa in campo", e abbia origine in secoli di dominazioni straniere e papismo: Berlusconi lo ha solo personificato, non creato - prima di lui, votava per tutto l'arco costituzionale...

Non tenere conto di questa realtà sociologica può costare caro, come si vede. Ma tenerne conto significa dedurne che la sconfitta di tale nemico è la priorità Uno, e tutto il resto deve venire dopo. E' la strategia di Prodi, l'unico in questo quindicennio ad avere sconfitto, infatti, e per ben due volte, il Cavaliere alle elezioni. Dei limiti di questa strategia ne abbiamo viste le conseguenze, ma intanto i due "governini" Prodi hanno il merito storico di aver interrotto la continuità berlusconiana e per ciò stesso limitato l'ampiezza delle sue conseguenze in termini di sfacelo finanziario ed etico (senza contare il tanto vituperato ingresso nell'Euro, senza il quale il crack Parmalat avrebbe avuto esiti argentini, e il rincaro del petrolio avrebbe riportato l'inflazione in doppia cifra...).

Il limite maggiore di Prodi, però, è stato soprattutto di non aver avuto la forza e/o la determinazione per portare questa strategia all'estrema conseguenza: l'eliminazione politica dell'avversario, attraverso una seria legge sul conflitto d'interesse, una seria riforma elettorale, o qualunque altro strumento adatto alla bisogna. Solo la liquidazione di Berlusconi potrebbe (poteva?) prendere quel 45% di italioti da lui catalizzati e rispalmarli tra tutti gli schieramenti politici, favorendo così, forse, nel tempo, l'erosione di quella quota. Che invece, visto il terzo e forse definitivo successo del personaggio, rischia adesso di salire...

Tant'è, come altrove abbiamo già sottolineato, dal 1994 ad oggi i berlusconiani e gli antiberlusconiani si sono alternati al governo non a causa di osmosi tra i due gruppi, grosso modo equivalenti e assolutamente impermeabili l'uno all'altro, ma esclusivamente in esito alla strategia politica degli schieramenti, più o meno congrua alla situazione e alla legge elettorale del momento. Guardando i voti alla Camera, infatti: nel 1994 poco più di 16 milioni e mezzo di berlusconiani, uniti in coalizione, hanno vinto le elezioni su quasi 21 milioni di antiberlusconiani, divisi tra una piccola coalizione guidata da Occhetto e due gruppi centristi (Segni e PPI); nel 1996 neanche 17 milioni di ulivisti, uniti al canto della Canzone Popolare, hanno sconfitto oltre 20 milioni di antiulivisti, divisi tra berlusconiani e leghisti; nel 2001 e nel 2006, imparata la lezione, gli schieramenti si sono presentati entrambi coalizzati, e infatti hanno raccolto più o meno lo stesso numero di voti (circa 18 milioni e mezzo a testa nel 2001, circa 19 milioni nel 2006), con meno di 200 mila voti di distacco entrambe le volte, nel 2001 a favore del centrodestra e nel 2006 a favore del centrosinistra - la differenza in termini di governabilità, a danno del povero Prodi, l'ha fatta tutta la legge elettorale introdotta in fretta e furia da Berlusconi a fine legislatura. E stavolta? Stavolta no, apparentemente: i berlusconiani sono oltre 20 milioni, gli altri complessivamente neanche 16...

E però, però i numeri bisogna saperli leggere: Il PdL ha raccolto alla Camera 13.628.865 voti, ma Forza Italia e An ne totalizzarono nel 2006 in totale 14.007.448: anche per chi vince, dunque, si conferma la regola che vuole che in vigenza di legge elettorale proporzionale i partiti uniti raccolgono meno della somma delle loro parti; l'aumento dei berlusconiani in totale ammonta a un milione e 300 mila voti, esattamente a quanto ammonta il solo aumento dei leghisti.

Considerando che è perlomeno probabile che molti dei 600mila voti dell'Udeur (che stavolta non si presentava) siano andati al PdL, ne consegue che lo stesso deve aver ceduto parecchie centinaia di migliaia di voti alla Lega (che ha strappato gli altri, ancora nell'ordine di centinaia di migliaia, alla sinistra radicale...). Però la sinistra radicale ha perso complessivamente oltre un milione e 700 mila voti (altri 700 mila i socialisti, che però nel 2006 si presentarono come Rosa nel pugno assieme ai radicali, oggi nel PD), solo in minima parte spiegabili dal travaso verso la Lega e verso altri groppuscoli di estrema sinistra, mentre in massima parte finiti nel plotone del non voto (moltissimi blog e siti lo invocavano a gran voce, Grillo in primis), cresciuto di oltre un milione e 600 mila unità. Il PD in tutto questo è rimasto sostanzialmente invariato, tenuto conto che gli oltre 11 milioni e 900 mila del 2006 non comprendevano i radicali e oggi sono con loro 12 milioni e 100 mila scarsi. E' evidente dunque che molti dei voti alla sinistra radicale siano finiti a Di Pietro (da circa 900 mila a quasi 1 milione e 600 mila) e al PD, fosse anche solo quelli che alla fine hanno ceduto al ricatto del "voto utile".

Si può quindi dedurre che complessivamente tra PD, sinistra radicale e non voto, una novella Unione avrebbe raccolto, ipoteticamente, 17 milioni e mezzo di voti. Non abbastanza da impedire la vittoria elettorale dei berlusconiani (si ricorda che la premessa maggiore è che è stata sciagurata la mossa di far cadere il governo Prodi nel momento in cui per natura qualsiasi governo attraversa il punto più basso di popolarità, specie se si pone il problema del risanamento prima di quello della redistribuzione delle risorse), ma abbastanza forse da far si che i meccanismi perversi del Porcellum avessero consegnato a Berlusconi una maggioranza traballante almeno al Senato (bastava vincere due delle regioni cedute per riportare il PdL sotto i 160 senatori e costringerlo perlomeno a chiedere aiuto all'Udc, che però ha 3 soli senatori...).

 

Hanno espulso l'ala sinistra

Aver dimostrato, dati alla mano, che era sbagliato accelerare la nascita del PD, era fuori tempo dichiarare "andremo da soli", era sbagliato mantenere il punto a governo caduto e rinunciare ad almeno tre milioni di antiberlusconiani (perché se fai il politico di mestiere devi sapere che non puoi spostare tutti quei voti che ti mancano, mai in Italia col proporzionale e comunque non in questo momento...), era sbagliato rinunciare ad attaccare e addirittura a nominare un avversario la cui presenza è l'unico fattore di aggregazione sia della sua pattuglia che di quella dei possibili tuoi elettori, e aver preannunciato (dopo son bravi tutti...) questi errori, è autoremunerativo ma non è affatto consolante....

Ci aspetta infatti un quinquennio (almeno) in cui gli sfaceli che saranno fatti saranno una parte di quelli che riusciamo ad immaginarci:

apertura del cantiere INFINITO del Ponte sullo Stretto con tanto di travaso di soldi alla mafia e distruzione definitiva del territorio nell'area;

realizzazione della Tav e di tante altre opere tanto costose quanto inutili e dannose per il territorio, a danno del bilancio dello Stato e a favore dei soliti amici degli amici;

separazione delle carriere dei magistrati e definitiva assoggettazione della magistratura inquirente all'esecutivo (come in nessun altro Paese democratico);

depotenziamento se non smantellamento degli apparati pubblici preposti alla lotta all'evasione fiscale e aumento della spesa pubblica (tramite soluzioni onerose di casi tipo Alitalia e Malpensa, e gestione clientelare della PA in genere), con conseguente aumento del deficit corrente e dell'ammontare del debito pubblico;

incremento (specie in caso di vittoria repubblicana alle elezioni Usa a novembre) dell'impegno militare italiano nei vari teatri attuali e magari in altri futuri (e del relativo impegno economico);

definitiva pietra tombale sul pluralismo dell'informazione, aumento dei controlli sull'informazione on-line e su internet in generale;

federalismo spinto (cambiale da pagare alla Lega) con conseguente ulteriore aumento della distanza tra Nord e Sud, della spesa pubblica complessiva, e della pressione fiscale complessiva (si abbassano le tasse centrali di uno per aumentare quelle locali di due, ma al nord sono contenti perché i soldi raccolti si spenderanno sul posto, e al sud si arrangino);

giro di vite persecutorio e antidemocratico su immigrati, zingari, drogati, omosessuali e altre minoranze critiche;

enfasi sulla sicurezza e conseguente (ben accetta ai poveri di spirito) riduzione delle libertà individuali fondamentali;

definitivo affossamento delle unioni di fatto e attacco alla legge sull'aborto (con conseguente aumento di quelli clandestini, fatti nelle cliniche private per i ricchi e sui tavolacci per i poveri);

contributi pubblici alla scuola privata (leggi cattolica) e definitivo declassamento di quella pubblica a scuola di serie B (per poveracci e illusi ideologizzati);

varie ed eventuali (chi più ne ha più ne metta).

Certo, in molti di questi punti l'azione di un eventuale governo del PD non sarebbe stato molto diversa, ma volete mettere l'originale? Tutto questo avverrà, ed è questa la cosa più grave ed anche l'unica imprevista, senza nessuna rappresentanza della sinistra in parlamento. Nessuna: a domanda specifica se il PD potesse ancora considerarsi partito di sinistra Veltroni in campagna elettorale ha risposto senza esitare "no". Ma al di là di questioni di etichetta, nessuno poteva prevedere che la Sinistra arcobaleno non raggiungesse non dico il quorum dell'8% in nessuna regione al Senato, ma nemmeno quello nazionale del 4% alla Camera.

Questo ultimo estremo risultato della campagna elettorale imbecille ed imbelle di Uolli (ma anche di Bertinotti e company, bisogna aggiungere, anche se vi sono stati costretti dalle porte sbattute in faccia...), fa sì che le tensioni sociali che si accumuleranno attorno alla prossima base americana ampliata, piuttosto che alla prossima missione "di pace" avviata o al prossimo corteo di no-global manganellato, non avranno un contrappeso moderatore non solo al governo, ma nemmeno al parlamento. Mentre a Palazzo Chigi c'è chi ha istruito le forze dell'ordine a combinare quello che hanno combinato a Genova nel 2001. Non c'è che dire, un bello scenario... Tanto è vero che la sinistra fuori dal parlamento ha preoccupato persino Fini fin dalle prime interviste post-voto...

 

Che fare?

La domanda è volutamente leninista. La risposta è perlomeno duplice. Noi che non abbiamo creduto fin dall'inizio all'avventura Partito Democratico con i tempi e i modi in cui è stata avviata, noi che crediamo che siano le idee che si devono adattare alla realtà per il semplice motivo che il contrario di solito non accade anche se si usano gli slogan "giusti" (no, we can't - si dovrebbe adesso dire...), noi non abbiamo alternativa che osservare, resistere, e sperare stavolta di sbagliarci.

Ma chi ha prodotto questo sfacelo, visto che non ha il pudore di trarne le dirette conseguenze e sparire dalla scena politica italiana, come peraltro aveva promesso in un suo bestseller e numerose interviste ("alla fine del mandato di Sindaco chiudo con la politica italiana e vado in Africa a svolgere un ruolo sociale per qualche Ong"), dovrebbe come minimo organizzare un'opposizione decente.

Che non vuol dire fare sfoggio di fair play e votare in pieno spirito bipartisan ogni sorta di nefandezza (dai termovalorizzatori alle missioni di guerra, dal federalismo fiscale alla stabilizzazione del precariato come unica forma di lavoro possibile): hanno una maggioranza bulgara, Uolli, i tuoi voti non gli servono....

Non vuol dire cominciare a flirtare con l'Udc (che continua ad essere berlusconiana nello spirito, come dimostra almeno il 33,3% dei suoi senatori..., e potrebbe tornare ad esserlo anche di fatto nell'arco del quinquennio in caso di bisogna) per prepararsi alla prossima campagna elettorale con una coalizione di centro/centro/centro/sinistra.

Vuol dire invece ricordarsi e non dimenticare più, neanche per un attimo, che il Nemico è il soggetto più pericoloso per la democrazia che abbia visto il mondo occidentale nel secondo dopoguerra. E va combattuto fieramente ed orgogliosamente, costi quel che costi. Solo così il PD può aspirare ad attrarre a sé quei milioni di elettori di sinistra che ieri o non hanno votato o hanno votato divisi e non sono rappresentati in Parlamento. Così si costruisce l'identità di un partito alternativo al berlusconismo, non copiandone il programma di governo.

Se il suo attuale leader non è d'accordo con questa linea, le cose sono due: o ha il buon gusto di togliersi dai piedi subito, oppure continuerà col suo ma-anchismo fino a che non sarà estromesso dalle cose, facendo perdere altro tempo a noi e alla democrazia italiana. Si, perché - vaticinio finale - non c'è alcun futuro per il PD di Veltroni, nemmeno se gli riesce il disegno di portare l'inciucio al livello di barattare la fine anticipata della legislatura con l'investitura a una presidenza della Repubblica, appositamente riformata, di Sua Maestà Silvio I da Arcore.

* da Contrappunti.info per gentile concessione del direttore responsabile, professor Giancarlo Fornari

 

 

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