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Cultura | Storia
Giuseppe Mazzini patriota e pensatore politico di Antonio Serpico

mazzinigiuseppe.jpgIl 22 giugno (o, come dicono alcuni testi, il 22 maggio) del 1805 nacque a Genova Giuseppe Mazzini, l’apostolo dell’unità d’Italia. E’ difficile credere che esista oggi in Italia una persona che non conosca almeno di nome il grande Genovese. Molti ricordano: che fu l’organizzatore della Giovine Italia e della Giovine Europa; che sacrificò l’intera sua vita per l’ideale di una “Italia una, libera, indipendente e repubblicana”; che, direttamente o indirettamente, suscitò i cosiddetti “moti mazziniani”, e così via dicendo.


Pochi, però, sono in condizione di ripetere anche i motivi ideali della sua azione, la “filosofia” che fu dietro di essa. Richiamiamo, allora, alla memoria tali motivi, almeno nelle loro linee essenziali. Sicuramente fu un romantico fin nel profondo dell’anima. Infatti riteneva che la vita di ogni uomo è degna di essere vissuta soltanto se è spesa per concorrere a realizzare grandi ideali, come, ad esempio, quello dall’unità repubblicana del nostro Paese o dell’unione europea; inoltre, per questo ideale, nonostante potesse condurre una vita agiata e non priva di onori grazie alle grandi qualità di giornalista e di scrittore che indubbiamente aveva e la laurea in legge conseguita nel 1827, scelse prima la via della cospirazione all’interno della Carboneria e, poi, divenuto critico nei confronti di questa, promosse iniziative varie a causa delle quali, senza esitazioni, si espose a processi, detenzione, condanne a morte, persecuzioni, esilio, miseria, che lo accompagnarono per più di quarant’anni della sua esistenza. Il motivo di ciò era la sua convinzione che la vita è una missione e che la sua legge suprema è il dovere. Questa idea assimilò fin da piccolo ascoltando il padre Giacomo, medico e professore universitario, ex giacobino, e la madre Maria Drago, persona di alta sensibilità morale e religiosa, tendente verso il giansenismo. Per lui l’agire di ogni uomo è inserito nel vasto disegno del progresso del genere umano, voluto da Dio per il bene delle nazioni e dell’umanità intera. Mazzini nominava spesso Dio, ma non lo concepiva nella forma della trascendenza cristiana, bensì come volontà morale, che disciplina le azioni degli uomini dall’interno delle loro coscienze e che spinge i popoli verso la luce del progresso, in altre parole come spirito presente nella storia ed identificantesi con l’umanità stessa. Nel capitolo II di quel testo che è stato definito “la summa dei suoi pensieri”, cioè Dei doveri dell’uomo (cfr. in Scritti politici di G. Mazzini, a cura di Grandi e di Comba, UTET, Torino 1987), ad esempio, scrisse: “Dio, creando la vita, ha donato ad essa come legge un perfezionamento indefinito, una capacità di salire per una serie indeterminata di gradi verso l’ideale supremo.”; “Dio vive nella nostra coscienza, nella coscienza dell’umanità, nell’universo che ci circonda. … … … L’universo lo manifesta coll’ordine, coll’armonia, coll’intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi.”. Certamente questo senso del divino nel mondo in Mazzini era frutto di un’intuizione non di una dottrina, nasceva da una sua disposizione spirituale e non da una teoria vera e propria. Per questo motivo nello stesso testo egli affermò anche: “Dio esiste. Io non debbo né voglio provarvelo: tentarlo mi sembrerebbe bestemmia, come negarlo è follia. … …Dio esiste” e “l’Umanità è il suo profeta.” (Ivi). Sospinti, quindi, da questa legge divina i popoli debbono compiere ogni sforzo per adempiere alla loro missione di emanciparsi dalla dipendenza straniera, costituirsi in unità e migliorare le proprie condizioni politiche e sociali per il bene proprio e per favorire la concordia universale: Dio vuole questo e perciò parla al popolo e lo guida nello sforzo del proprio riscatto. “Dio e popolo” sono, quindi, i due poli dell’asse su cui si muove la storia d’Italia o, in ogni nazione, la storia di quella nazione. Secondo lui quest’ultima, poi, è un organismo vivente che trascende i singoli individui ed opera in armonia con le altre nazioni, è “l’ universalità de’ cittadini parlanti la stessa favella, associati, con eguaglianza di diritti civili e politici, all’intento comune di sviluppare e perfezionare progressivamente le forze sociali e l’attività di quelle forze. … … (essa) è sola sovrana.” (da: I collaboratori della “Giovine Italia” ai loro concittadini, in Scritti politici, op. cit., p.316). Per questa visione della vita: fu contrario al sensismo illuministico e alla “teorica dei diritti” che si appoggiava su di essa; esaltò l’idea che per sostenere il benessere di tutti gli individui e i popoli, più che i diritti dovessero essere esaltati i doveri degli uomini; sostenne che l’esaltazione dei doveri dovesse prendere le mosse proprio da una concezione religiosa della vita, in modo che tutti i valori veri dell’esistenza trovassero unificazione in Dio. Per questo motivo negli stessi Doveri, rivolgendosi agli operai a cui dedicò l’opera nel 1860, affermò: “L’origine dei vostri doveri sta in Dio. La definizione dei vostri doveri sta nella sua legge. La scoperta progressiva, e l’applicazione della sua legge appartengono all’Umanità.”. Il rapporto tra Dio e l’umanità, inoltre, secondo il patriota genovese, assume forme concrete nella nazione e nel suo genio. In modo particolare, per l’Italia tale rapporto si realizza in una terza missione di Roma: “Albeggia oggi per la nostra Italia una terza missione: di tanto più vasta quanto più grande e potente dei Cesari e dei Papi sarà il POPOLO ITALIANO, la patria una e libera che voi dovete fondare. Il presentimento di questa missione agita l’Europa e tiene incatenati all’Italia l’occhio e il pensiero delle nazioni.” (Dei doveri ecc., cit., cap. V). La missione assegnata all’Italia, dunque – secondo il Mazzini- non era quella di una potenza politico-militare, ma un impegno di solidarietà e di libertà e per questo motivo egli affermava spesso che amava la propria patria in quanto amava tutte le patrie e fondò nel 1834 la “Giovine Europa”, nonostante che nel 1831 aveva fondato la “Giovine Italia”. Per attuare questo sogno italiano di unità e di prestigio non bastavano la propaganda e l’affiliazione promossa dalla Giovine Italia. Esse potevano essere sufficienti per riscuotere il consenso di quegli spiriti nobili già pronti per la loro “missione”, ma non per svegliare la totalità degli italiani. Era perciò necessario scuotere le coscienze anche attraverso l’azione educativa e rivoluzionaria. Ciò spiega il secondo famoso motto mazziniano “Pensiero ed azione”. Egli pensava che soltanto la coscienza emancipa i popoli e la moralità chiarifica la missione della vita, dà slancio all’ideale, fa crescere la forza del dovere e del sacrifico per l’azione, consentendo la formazione di uomini disposti anche all’estremo sacrificio della vita per l’emancipazione di se stessi, per la libertà della patria e per il progresso dei popoli. Nell’impegno politico entrava così come forza determinante anche il tema dell’educazione. Questa secondo lui doveva essere intesa come “e–ducere”, “cavar fuori” quanto è nell’animo, far germogliare nelle coscienze il senso della propria missione civile e politica. E per realizzare ciò erano indispensabili la propaganda nazionale, l’attività pedagogica di elevazione morale e religiosa, e l’azione esemplare di giovani patrioti che insorgono contro i despoti e, se necessario, muoiono per il loro nobile scopo. Per questo motivo, a quanti gli rimproveravano di mandare allo sbaraglio i suoi seguaci, rispondeva che il martirio, se avviene per nobili ideali, non è sterile e che si deve insorgere per poter educare e si deve educare per potere insorgere. L’educazione non fu oggetto di studio specifico ed approfondito da parte dell’Apostolo genovese, che, comunque per sette anni, a partire dal 1841, a Londra, organizzò e condusse una scuola elementare popolare e gratuita per i piccoli “suonatori d’organino” di origine italiana, presenti in quella città. Secondo lui l’attività educativa deve essere innanzitutto di tipo morale. Rivolgendosi ai genitori dei suoi alunni, infatti, scrisse al riguardo: “La distinzione fra gli uomini i quali vi offrono più o meno istruzione e quei che vi predicano educazione è più grave che non pensate. … … l’educazione è la manifestazione del programma sociale … … insegna quale sia il Bene sociale … … senza di essa, l’istruzione sarebbe come una leva mancante d’un appoggio”. Includeva, poi, in questo insegn
amento “… un corso di nazionalità comprendente un quadro sommario dei progressi dell’Umanità, la Storia Patria e l’esposizione popolare dei principi che reggono la legislazione del paese” oltre che l’apprendimento dei principi dell’eguaglianza e dell’amore, perché senza questo apprendimento i giovani non “possono, cresciuti a gioventù, affratellarsi in concordia di opere e rappresentare in sé l’unità del paese”. (Dei doveri ecc., cap. X.). Accanto a questa educazione morale, poi poneva l’istruzione che “somministra i mezzi per praticare ciò che l’educazione insegna”. Rientravano nei compiti dell’istruzione quelli di far apprendere a leggere, a scrivere, l’aritmetica, “un po’ di geografia, disegno elementare”. La domenica venivano trattate la storia patria, le vite dei grandi, le nozioni più importanti di fisica e altri argomenti che via via venivano considerati “giovevoli a secondare e innalzare quelle rozze menti, intorpidite dalla miseria e dalla abbietta soggezione ad altri uomini” (Ivi). Momenti del suo impegno civile e politico furono dedicati anche alle questioni sociali. Il suo messaggio su questo terreno fu rivolto a tutta la nazione, che intese romanticamente come un corpo unitario, privo di divisioni sociali, salvo quella relativa alla distinzione fra la “classe più numerosa e più povera” e le “minoranze privilegiate”. Riparato a Londra a partire dal 1837, lì poté esaminare direttamente i problemi del proletariato industriale e fondò una Unione degli operai italiani, che fu il primo esempio di organizzazione operaia nel nostro Paese. Così alla precedente opposizione tra ricchi e poveri sostituì quella più attuale tra proprietari e proletari e impegnò le sue energie per una società non lacerata dai conflitti di classe, in cui capitale e lavoro fossero nelle stesse mani. Per questo motivo criticò fermamente la dottrina marxista e abbozzò il progetto di una soluzione cooperativistica all’organizzazione del lavoro.
Antonio Serpico


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