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Il “Tesoretto” in rete. Una buona idea o, forse, no di Gino Nobili

tesoretto.jpgMolte discussioni (e anche spesso molta demagogia) sull’utilizzo del famoso tesoretto: termine che sembra indicare delle ricchezze rinvenute quasi per caso in un galeone spagnolo naufragato, mentre si tratta di un sovrappiù di risorse prelevate dai magri bilanci delle famiglie italiane. Alle proposte di tipo elettoralistico, che vorrebbero al solito distribuire a pioggia le impreviste disponibilità, si contrappone – ma non è dato sapere, alla fine, con quante probabilità di successo – la fermezza del ministro dell’economia Padoa Schioppa, che insiste sulla necessità di utilizzarle per ridurre ulteriormente il rapporto deficit/Pil. Si è parlato anche di investire buona parte di queste risorse nella informatizzazione dei Tribunali, in modo da poter concludere finalmente i processi in tempi meno indegni di un paese civile. Di recente sono state avanzate anche altre proposte, come quella di investire nella creazione di una adeguata rete di comunicazione a banda larga. Idea interessante, che però presenta anche risvolti negativi. La discussione sembra destinata a protrarsi ancora a lungo. Anche perché le dimensioni esatte dell’ormai mitico tesoretto sembrano ancora tutt’altro che definite


Gli allibratori inglesi hanno chiuso le scommesse: anche per loro oramai è certo che nel Vocabolario italiano 2008 troverà posto tra gli altri neologismi il Tesoretto: (s.m.) piccola ma consistente somma di denaro derivante da entrate inattese che non si sa come spendere, potrebbe essere una definizione. Si è detto tutto e il contrario di tutto su come impiegarlo: ridurre il debito pubblico, ridurre le tasse o perlomeno aggiustare i conti per non doverle aumentare in futuro, abolire l’ICI sulla prima casa, aumentare le pensioni minime, riscrivere la riforma delle pensioni, fare finalmente il contratto agli statali, finanziare la sicurezza. L’ultima proposta è quella di Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le comunicazioni, secondo il quale si dovrebbe realizzare una rete a banda larga per le telecomunicazioni di seconda generazione. Merita un approfondimento.
La proprietà della rete
Con la vendita della Telecom agli spagnoli, l’Italia è l’unico Paese del G 8, ed uno dei pochi di tutto il mondo capitalistico occidentale, a non avere una dorsale di telecomunicazioni di proprietà nazionale. Già prima, grazie alla poco avveduta privatizzazione di fine anni 90, era uno dei pochi Paesi ad economia avanzata a non averne una di proprietà pubblica, ma almeno, se regalo era stato fatto, era come dire rimasto in casa. Il piano Rovati, dal nome del consigliere di Prodi frettolosamente dimesso dall’incarico ed oggi tra i “grandi padri” del Partito Democratico, prevedeva intelligentemente lo scorporo della rete dai servizi e la riassunzione della prima sotto controllo pubblico. Controllo che riappare adesso in versione light, sotto forma di prerogative del Garante. Ebbene, è tutta Preistoria.
Il Garante Calabrò ha dichiarato infatti, intervenendo ad un convegno presso la Luiss, che con un investimento “dagli 8 ai 15 miliardi di euro”, tratti ovviamente dal Tesoretto, l’Italia si doterebbe di una rete di nuova generazione: bisogna “fare un lavoro radicale”, “sostituire la rete in rame con la fibra ottica”, “altre soluzioni posticce o pannicelli caldi non risolvono il problema, solo così l’Italia potrà reggere la sfida della competitività in uno scenario che si evolve rapidamente”, “il tesoretto deve servire anche per le infrastrutture del Paese”.
Se fosse un problema politico, alla domanda se il governo debba privilegiare il risanamento finanziario, anche a detrimento dello sviluppo, o il sostegno della spesa corrente specialmente sociale, o gli investimenti in grandi infrastrutture come la banda larga, queste ultime non potrebbero essere ignorate da chi avesse davvero a buon cuore le esigenze del Paese. Ma è solo un problema politico, o anche tecnico?
Adsl o cara
Una recentissima inchiesta di Altroconsumo ha dimostrato quello che peraltro in molti sospettavamo già: l’Adsl in Italia è la meno conveniente d’Europa. Anche se “oggi si pagano circa 20 euro al mese, contro i 30 euro nel 2005” confrontando le tariffe italiane con quelle di Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Gran Bretagna e Spagna si scopre quanto siamo indietro sia per costi che per velocità di connessione. E la situazione si aggrava quanto più cresce l’uso della Rete: per 5 ore al giorno di connessione “ben 5 Paesi su 7 sono più convenienti dell’Italia: Francia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, e Portogallo” e i “contratti più economici del Bel Paese costano il doppio rispetto ai più economici in Europa”.
Il problema dell’Adsl è poi un altro, ben noto: deve arrivare fisicamente, e la maggior parte del territorio italiano, e in particolare proprio quelle zone che ne avrebbero più bisogno, ne sono escluse. Passare alle fibre ottiche non risolve il problema del digital divide, lo aggrava: le autostrade telematiche sono molto costose, e ovviamente dovranno essere realizzate a partire dalle grosse metropoli e dai grossi nodi che offrono tanti clienti. Di nuovo “gli ultimi saranno gli ultimi”: ripeteremmo, a dar retta a Calabrò, l’errore dell’Alta Velocità ferroviaria, realizzare linee velocissime sulle tratte iperservite, a costi esorbitanti, e dimenticarsi dei tanti “rami secchi” che intanto vengono lasciati senza collegamento ferroviario.
Mamma guarda vado senza fili
Una prima soluzione a questo problema è stato l’uso di sistemi Wi-Fi (senza fili), che può consentire di collegare ad Internet intere città, come da noi è stato fatto a Bologna. Ma la sua portata di segnale fa si che sia l’ideale per l’utilizzo in zone limitate, tipo aeroporto o parco, e con molti utenti per giustificare l’investimento.
La soluzione giusta può essere il nuovo standard noto come Wi-MAX, che con segnali radio come il Wi-Fi permette però di coprire una intera vallata alpina con un solo ripetitore. Il governo Prodi a dicembre ha raggiunto un accordo con l’Esercito, proprietario delle frequenze radio necessarie per i collegamenti Wi-MAX, ma ora sta nuovamente per commettere l’errore che fece, sempre il centrosinistra, con l’UMTS. Ci riferiamo alla mega asta per le nuove frequenze dei telefonini, con un solo partecipante in più dei posti a concorso, che poi si è ritirato (in accordo con gli altri, ma non si può dire) facendo sì che l’incasso effettivo fosse una piccola frazione dell’atteso (vittoria sicura, nessun rilancio). Si è trattato della concessione di una cosa pubblica, a un prezzo tutto sommato inadeguato rispetto al valore per la collettività, a soggetti che di fatto da quel momento gestiscono un oligopolio a tutto danno del consumatore. E adesso col Wi-MAX stiamo per ripetere lo stesso errore.
Il sito partito-pirata.it propone da tempo una soluzione alternativa intelligente, simile a quella pensata per evitare la proliferazione delle antenne paraboliche sui tetti dei condomini: il primo operatore che vuole coprire una certa area installa a sue spese l’antenna ed i ripetitori e sceglie una o più frequenze tra quelle disponibili, chi arriva dopo ha diritto ad usare quanto installato dal primo pagandogli il 50% dei costi sostenuti, e così via col terzo, dividendo sempre tutto in parti uguali compresi eventuali implementazioni degli impianti. La cosa è troppo intelligente e non si è fatta. Ma forse anche il Wi-MAX è sorpassato.
Ma la strada giusta parte da Torino…
E’ di questi giorni la notizia che il Politecnico di Torino ha creato un sistema di comunicazione wireless potentissimo, utilizzando vecchi computer 386 (antiquariato informatico, pochi di noi se ne ricordano…) con sistema operativo Linux. Nell’ambito di una competizione internazionale hanno battuto il record di 200 chilometri tra Cipro e Libano a 4 megabit al secondo di banda, collegando un rifugio sulle Alpi piemontesi con uno sull’Appennino Tosco-Emiliano, a 295 chilometri di distanza, ad una velocità stabile di 20 megabit al secondo. Il che vuol dire Internet, telefonia Voip e videoconferenze.
Il tutto con pochi investimenti e senza pagare royalty (grazie anche all’open source): l’ideale per abbattere il digital divide non solo all’interno del nostro Paese, ma anche nei Paesi del terzo mondo.
Per il tesoretto, si continuerà a litigare sul cosa farne, ma dalle ipotesi forse sarà meglio escludere le autostrade telematiche, di cui peraltro sentiamo parlare almeno da 15 anni. Che sono già state un flop di Telecom quando da poco aveva finito di chiamarsi Sip…


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