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La recensione “Acqua di mare” di Charles Simmons di Luigi Alviggi

Simmons%20Acqua%20di%20mare.jpgCharles Simmons è un aitante giovane newyorkese di 83 anni. Ha lavorato come editor alla “New York Times Book Review” ed ha scritto cinque romanzi. L’ultimo, questo “Acqua di mare”, è del 1998 ma da noi è fresco di stampa ed è il primo ad essere tradotto in italiano (da Massimo Bocchiola). L’autore, dunque, è al suo debutto in Italia e dichiara – nell’intervista di Mariarosa Bricchi che chiude il libro – di essersi ispirato a “Primo amore” (1860) di Ivan Turgeniev nell’impianto di questo lavoro.


L’appellativo giovane calza a pennello all’autore: la voce narrante del romanzo è quella di un ragazzo quindicenne, Michael. La triade dei personaggi principali è costituita dal figlio, dall’affascinante padre e da una bellissima villeggiante estiva, Zina, ventenne dalle inclinazioni profonde e dagli atteggiamenti decisi. ll libro vive di questa estate, breve quanto un sospiro ma lunga nel succedersi di una ampia catena di simpatie ed innamoramenti, di gelosie e recriminazioni, che squassano l’esistenza dei vacanzieri. Allo spirare della stagione, il ragazzo ha fatto luogo all’uomo e questi, il padre, nell’attimo in cui realizza di aver adempiuto il suo compito decide anche che la sua vita non ha più ragion d’essere. Sullo sfondo il mare di Bone Point – il grande amore che accomuna tutti i personaggi – che, con i suoi umori variabili, influenza le emozioni segrete di ciascuno. Padre e figlio vivono un legame profondo, fuori dal comune. Amici del cuore, uniti intimamente dai legami di sangue ma ancor più dalla passione per la vela e per la pesca. La barca Angela li scorazza, liberi ed entusiasti, per la grande baia in un’abbagliante tavolozza di colori. Conoscono ogni mistero e pericolo della sterminata superficie marina che li affascina. La madre vive in disparte ma non per questo è meno partecipe degli affetti che tengono unita la piccola famiglia. È anche per rompere questa ristrettezza che decidono di dare in affitto la foresteria, vicina alla loro casa, alle Mertz, splendide mamma e figlia di origine russa che andranno ben oltre la ventata di novità da loro attesa.
“Zina baciò la mamma su una guancia, mi sfiorò la punta del naso con un dito e andò via.
Sparecchiammo in silenzio. Ero sicuro che la mamma avrebbe avuto qualcosa da dire, ma invece taceva. Così alla fine parlai io: “Zina ti piace, vero?”
“Sì” rispose la mamma distogliendo lo sguardo.
“Credi che avrà successo?”
“Se non si perde per strada.”
“E come si può perdere?”
“Magari si sposa, ha dei figli, rinuncia alla carriera. In tanti modi.”
“Dice che avrà successo perché lo vuole con tutte le forze”.
La mamma si voltò inviperita. “Sbaglia. Che abbia successo o no, non sarà perché lo avrà voluto lei. La vita non è così. Non capisci?”
“No.”
“Michael, forse a te Zina sembra una ragazza, ma è una donna adulta. Ti farà molto soffrire, se non ti levi questa idea dalla testa. Nella vita non hai quello che vuoi perché lo vuoi, ma hai quello che la vita ti dà.”
E, sbattendo la porta, uscì in veranda.

La prosa è limpida e pacata, come limpida è la tragedia che sconvolgerà l’animo del ragazzo cresciuto troppo in fretta ai segreti della vita. Il padre osserva e corregge la rotta del figlio così come è attento a quella della barca, ed è abile a condurlo tra le acque agitate dell’Atlantico come della vita. Michael vuole e sa sfruttare questa guida che rimane in sottofondo ma proprio per questo appare ancor più incisiva e fondamentale. Ma poi, come per maligno sortilegio, padre e figlio si innamorano della stessa donna e, nella sofferenza per questa passione contorta, Misha crescerà come non mai. Zina è il frutto proibito che sovrasta i due e che incombe, avversità voluta da un fato perverso, sui destini dell’uomo e del ragazzo, già non più tale.
“Michael, tu hai le tue idee in proposito. Dovresti conoscere le mie. Io non sono don Giovanni, per me le donne non sono acqua e pane. Però hanno una funzione importante. Loro segnano il passare degli anni. Sono come la scrittura per uno scrittore, le elezioni vinte per un politico. Fissano il tempo nella memoria, gli impediscono di sciogliersi nel nulla. Mi capisci?”
“Capisco le parole. Però tu stai parlando di sesso, non di amore.”
“ Ma non c’è una vera distinzione. Un’esperienza più “elevata” può essere l’amore, una più “bassa” il sesso.”
“In una scala da uno a dieci?”
“Michael, qui non si parla di sollevamento pesi, ma di sentimenti. La primavera scorsa, a una festa all’aperto in città, è capitata una cosa. Era una domenica pomeriggio perfetta, caldo al sole e fresco all’ombra. Tutti avevano un bicchiere in mano. Un uomo si è avvicinato alla donna accanto a me e le ha detto: “Io la conosco”. E lei ha risposto: “Sono stata la tua seconda moglie”.
“Erano sbronzi?”
“Quello che voglio dire è che a volte le esperienze profonde si chiudono nell’indifferenza.”
“Stai parlando di Mrs. Mertz o di chi?”
“Sto parlando della vita, Michael. Sto parlando di me, di te e di tutti quanti.”

L’affetto dei due maschi è troppo gigantesco per essere inficiato da alcunché. Afferma l’Autore: Volevo che “Acqua di mare” fosse una storia d’amore tra un padre ed un figlio. Ed è proprio questo il legame sovrano della narrazione. L’adulto scorge nel ragazzo l’alter ego che potrà giungere dove lui non è arrivato e si abbandona, appagato, alla corrente di un sentimento tumultuoso, quasi presagisse che è l’ultima occasione offertagli. L’incipit è dirompente – “Nell’estate del 1963 io mi innamorai e mio padre morì annegato.”, e folgorante la chiusa: “Ora io sono più vecchio di papà quando annegò. Non so perché mi sento ancora un bambino.”. Nel mezzo la faticosa strada attraverso la quale un ragazzo riesce a diventare adulto.


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