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ROMA – Capograssi a via Margutta a cura di Victoria Ubeda (TV E)

capogrossi-3.jpgDa giovedì 19 aprile presso la Galleria Emmeotto (Via Margutta 8, Roma) la mostra “Capogrossi. Il segno organizzato” che ripercorre la stagione astratta di un artista oggi unanimemente considerato, a livello internazionale, uno dei massimi esponenti dell’arte del ‘900. In esposizione – fino a tutto il 20 giugno, esclusi i festivi, il sabato pomeriggio e il lunedì mattina, con orario 10-13 e 16,30-20 – importanti dipinti, opere su carta, collages eseguiti da Capogrossi a partire dal 1950, l’anno in cui la sua nuova, sorprendente ricerca focalizzata sul segno viene presentata al pubblico. “Una mezza rivoluzione” che irrompe nello scenario artistico italiano spiazzando i critici e inaugurando un percorso artistico che porterà di lì a poco l’ex figurativo Capogrossi ad essere accomunato, nelle esposizioni internazionali, ad artisti come Pollock, De Kooning, Fautrier, Dubuffet


“Una mezza rivoluzione”. Così Lorenza Trucchi definisce la mostra alla “Galleria del Secolo” in cui Giuseppe Capogrossi, nel gennaio del 1950, espone i suoi primi lavori astratti: “Pareva impossibile che il quieto Capogrossi, ex fondatore del Gruppo Romano, ex cézaniano e tonalista, ricco di una solida fama locale e di un buon mestiere pieno di comunicativa, rinnegasse in modo tanto perentorio sé stesso, rifiutasse il proprio passato, e pur di rivelarsi anche negli oscuri angoli, pur di vivere all’estremo la propria esperienza di individuo e di pittore, si buttasse nel fitto di una avventura misteriosa e totale, allora per i più, a Roma, quasi ignorata e del tutto (per essi) incomprensibile”.
All’avventura astratta di Capogrossi Emmeotto dedica la mostra “Capogrossi. Il segno organizzato” che, a partire da giovedì 19 aprile, presenterà un nucleo di importanti dipinti, opere su carta e collages realizzati dall’artista tra il 1950 e gli ultimi anni della sua vita.
La pittura astratta di Capogrossi divide da subito gli animi: critiche feroci destinate a protrarsi negli anni, ma anche appassionati consensi. Già nel ’51, a Parigi, Capogrossi è l’unico artista italiano inserito da Michel Tapié nella mostra “Véhémences Confrontés” accanto a Pollock, De Kooning, Fautrier e Dubuffet. Ricorda Claudia Terenzi, curatrice della rassegna, come l’inconfondibile segno di Capogrossi sia stato sin dall’inizio oggetto di un’interpretazione quanto mai varia e curiosa. Tanto i denigratori quanto i sostenitori della prima ora non poterono infatti evitare di domandarsi da quale “trauma” scaturisse quella svolta così radicale rispetto alla lunga storia figurativa del pittore – protagonista indiscusso della Scuola Romana – e alla successiva, breve parentesi dell’esperienza postcubista. Quali che fossero le risposte, i suoi interpreti più sensibili sono sempre stati accomunati dalla consapevolezza dell’importanza dell’invenzione di Capogrossi: un segno sempre riconoscibile e unico eppure ricco di varietà nella sua capacità di suggerire infinite possibilità combinatorie, di organizzare lo spazio, il movimento, la dimensionalità.
Le significative opere in esposizione consentono al visitatore di fare il punto sugli elementi peculiari della produzione astratta dell’artista. A partire dalla complessità del rapporto tra segno e spazio, via via ulteriormente vivacizzata dall’introduzione del colore come elemento che tende ad assumere lo stesso valore del segno. In evidenza anche la sua passione per le tecniche, oggetto di inesausta e fantasiosa sperimentazione soprattutto nelle carte, rappresentate in mostra da un nucleo di pregevoli lavori realizzati su cartoncini, carte catramate, tirotex e altro utilizzando la penna a feltro, i pennarelli colorati, gli inchiostri e le tempere o magari costruendo collages di intatta freschezza creativa. Il tempo infatti non ha spento l’originalità della ricerca di Capogrossi, ancora oggi capace di stupire e suscitare interrogativi.


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