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La vita di Giovanni Paolo II raccontata attraverso il suo Angelo Custode, un libro di Carmela Politi Cenere di Pasquale Giustiniani

giovanni%20paolo%20II.jpgLucidità e poetica partecipazione. Sono queste le due felici espressioni con le quali Francesco D’Episcopo caratterizza il recente volume di Carmela Politi Cenere, L’angelo di Woityla. Echi di infinito, pubblicato da qualche mese dall’Editore Graus di Napoli e presentato nella prestigiosa sede dell’Istituto Italiano per gli studi filosofici. Tredici avvincenti capitoli, preceduti da una breve introduzione, nella quale l’Autrice confessa di essersi avvicinata al mondo di Giovanni Paolo II, presto soprannominato “il grande” dal suo successore, soltanto nell’aprile del 2005, cioè all’epilogo della vita terrena di quel pontefice tanto amato dal popolo di Dio e, in particolare, dai giovani. Tuttavia, questo scrivere dell’Autrice, seppur “tardivo”, sul Papa è bene informato. La scrittura appare inusuale e, insieme, originale e, appunto per questo, avvincente.
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Le vicende del piccolo Lolek, che percorre i lunghi anni della sua esistenza terrena fino al pontificato romano, sono seguite mediante una sorta di controcampo, attraverso il suo angelo custode appunto. La Politi Cenere, quasi percependo un’affinità di sentimenti con Woityla (“l’amore per la poesia ci accomunava”, scrive a p. 13), in questo volumetto lo immagina, infatti, “seguito dal suo fedelissimo Angelo custode, sin dal momento del suo concepimento” (p. 12). Così, la teologia cristiana sugli angeli, messa a punto dal grande filosofo e teologo pseudo-Dionigi Areopagita, in particolare l’angelologia dei “custodi” che l’Onnipotente affida ad ogni bambino progettato responsabilmente dai genitori su questa terra, si alterna e s’incrocia con il piccolo bambino polacco, Karol Jozèf, nato dall’amore tra Emilia Kaczorowska e l’ufficiale polacco Karol, Woityla. Una famiglia, questa, a sua volta custodita ed accompagnata dagli angeli: quello personale di Emilia e l’angelo della famiglia Woityla, alla cui intercessione la signora Emilia si era tante volte affidata per riuscire a “strappare” al Padre onnipotente la gioia di un nuovo figlio, dopo la morte precoce di una bambina. La vicenda narrata, in tal modo, presenta una vera sinergia tra terra e cielo, tra amore coniugale terreno – amore “vice-creaturale” che consente al Creatore di continuare la sua opera – ed impegno soprannaturale dell’Onnipotente – il vero principio creatore e provvidente di ogni essere che viene alla vita –. È questa cooperazione a consentire al futuro Giovanni Paolo II di aprire gli occhi, dopo un’attesa ed un parto difficile della sua mamma. Evidentemente, annota l’Autrice, il merito è davvero quello “della fede commovente di mamma Woityla, della sua devozione a Maria santissima, dell’amore, da sempre nutrito nei confronti del suo Angelo, nonché dell’Arcangelo Gabriele” (p. 20), colui che, appunto, nel romanzo, dà l’ordine al “custode” di recarsi a Wadovice in quel remoto inizio del Novecento. Mentre gli esseri umani si danno da fare quaggiù, Dio opera dall’alto mediante i suoi angeli: “non si muove una foglia se nulla lassù è stato deciso” (p. 22). Per questo il papà, inginocchiato davanti alla culla del neonato, si rivolge all’angelo custode del piccolo Karol: “… sorreggilo e governalo,/ anche quando dimentica di chiederti aiuto” (p. 25). Per questo il piccolo cresce deliziosamente, portando una ventata di gioia nella sua famiglia, gruppo umano che viene proposto dall’Autrice, in linea con l’insegnamento della Chiesa, come “pietra miliare” per la santificazione di ogni bambino e di ogni ragazzo.
Karol, pertanto, nella libertà compie le proprie scelte, tuttavia sempre guidate ed illuminate dall’Angelo custode. Da bambino, nella visione dell’Autrice, Karol lo “immaginava biondo di capelli e con gli occhi di un azzurro così insospettabilmente intenso da far pensare subito al cielo” (p. 31). Nei momenti di gioia ed in quelli di dolore, come in quello della morte della madre nel lontano aprile 1929, Karol dialoga continuamente nella preghiera col proprio angelo. In tal modo, “attraverso la prima grande prova della sua vita, la morte della madre, nonché gli insegnamenti cristiani della sua famiglia, sarebbe giunto, aiutato da Maria, all’accettazione delle future tribolazioni” (pp. 35-36). L’amore per la madre sarà, per il futuro pontefice, una scuola per il sentimento di particolare rispetto che egli alimenterà sempre nei confronti di tutte le donne “madri o potenziali madri e disposte a sacrificarsi per gli altri” (p. 39), ma anche “modello di garbo e di forza” (p. 40), come gli è dato di verificare tra “le amiche, conosciute a teatro, in qualità di giovane attore” e a scuola. Da sommo pontefice, poi, La Politi Cenere immagina ancora Giovanni Paolo II a tu per tu col suo custode, per esempio mentre recita il terzo mistero gaudioso del Rosario, per ricevere, stavolta, da lui inviti ad operare e fare di più per la pace nel mondo, la tolleranza tra i popoli, il rispetto sul piano della credenza religiosa; oppure mentre, ormai avanti negli anni e con la salute già compromessa, apre la porta santa del Giubileo del 2000. Attraverso le pagine di questo scritto, l’Autrice offre anche una bella sintesi della visione cristiana dell’esistenza e della vita, con particolare attenzione al ruolo peculiare della famiglia nella formazione delle future generazioni. Ad un certo punto scrive testualmente: “l’amore è un valore, la famiglia è un bene prezioso e perciò va salvaguardata: l’egoismo va abolito da essa. L’aiuto reciproco in famiglia è essenziale e tutti quelli, che fanno parte di un nucleo così fecondo, vivono e si sacrificano con minore disagio rispetto agli altri” (p. 43). Può davvero esser soddisfatto ora l’angelo di Woityla: “il suo pupillo, camminando tra la gente, …è riuscito a chiarire a tutti l’essenza della vita… Il viaggiatore instancabile ha vinto la morte” (p. 54)


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