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“Sospiri dell’anima” di Anna Maria Papa Giuseppe Diana

Tea_tree.jpgLa poetessa-scrittrice Anna Maria Papa ha licenziato alle stampe una raccolta di poesie, intrigante già per il titolo, “Sospiri dell’anima”. Pubblicato dalla “Gabrieli International Editor” in Roma, per i tipi della Digi-Graf, il libro contiene quarantuno liriche, che, come annota l’autrice, si propongono l’ambizioso obiettivo di “rivedere i colori che una volta brillavano nel mondo e nei volti che più non sorridono, perché finita una guerra, ve ne è subito un’altra”. In un’originale veste tipografica, che propone in copertina un quadro di G. Loengrin, l’opera è un’ulteriore conferma della delicata creatività di un’anima, contraddistinta dai caratteri dell’autentica purezza e dalle passioni antiche che alimentano il suo spirito. Sono pagine squisite che, come annota Federico Gabrieli nella quarta di copertina, rappresentano l’ansia per una “poesia nuova”, impegnata a rimuovere con forza “le finitudini emotive umane per sublimarle alla ricerca del vero, del bello, dell’amore”. E il lettore viene sospinto dalla forza dei versi di Papa a sintonizzarsi sulla sua lunghezza d’onda per raggiungere insieme – e grazie a lei – lo stesso proposito: mettere a disposizione del patrimonio spirituale della società tutta intera idee e pensieri nel segno del bello, del vero, del giusto.
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Si tratta, però, di merci sempre più rara, se è vero, come è vero, che le cronache della morte sopravanzano quelle della vita. Ma, nell’eterna lotta tra il bene e il male, ci suggerisce Papa, insignita dal Diploma di Benemerenza con una pergamena rilasciatale dal Sindacato Scrittori (S.N.A.S.A.), l’uomo deve “interagire per disinnescare le estraneità”, le differenze, il delirio di onnipotenza, di guisa che, raggiunta la serenità del proprio spirito, possa contribuire alla pace di tutti gli uomini che abitano la terra. È uno sforzo costante di partecipazione alle evoluzioni della nostra storia che si alimenta della “speranza forte di far contento Dio”! Ancora una volta, quindi, una “flebile canna”, riafferma che la poesia, come celebrazione estetica del creato, è qualcosa che tuttora trasmette con forza valori positivi. In una società che, per tanti versi, è così segnata dal male e in un mondo, dove l’uomo continua imperterrito la sua opera di demolizione contro se stesso e di devastazione contro la natura, l’oasi poetica ci consente di poter parlare d’amore: una parola che, se non abusata, conserva intatta la sua capacità di mantenere quello che promette. Gli uomini, infatti, nel loro grande viaggio collettivo – e ciascun uomo nel corso del proprio piccolo viaggio personale – procedono per tentativi e per approssimazioni successive. Tuttavia, quando si accorge di essere ad un passo dalla comprensione del senso ultimo delle cose, l’uomo-poeta, forte delle sue antenne, sente che gli manca qualcosa: probabilmente perché ha maggiormente chiara questa dicotomia, cifra distintiva della persona umana, che, mentre ha coscienza dell’infinito, avverte pure che tutto intorno a sé è finito! Poiché è un conflitto che non ci è dato sanare, lo dobbiamo accettare, non foss’altro perché ha il grande merito di farci tendere verso un orizzonte. E, nonostante sia responsabile delle sofferenze che ci derivano dal non riuscire mai a vedere pienamente soddisfatta questa sete, l’amore è una ricerca continua che ci riguarda fin dalla notte dei tempi: nella coppia, tra genitori e figli, nell’amicizia che, secondo alcuni, è addirittura la forma d’amore più alta! Insomma la poesia, frutto dell’amore per gli altri e per la vita, è – e resta – una maniera affatto singolare per appagare il vuoto esistenziale, perché, quando l’amore, che è connaturale alla dimensione umana normale, diventa poesia, si scopre che è la più grande energia che l’uomo sia in grado di produrre. E’ un evento incomprensibile razionalmente, perché è l’unica forza che permette di fare cose che prima non si immaginavano possibili. E’ come un miracolo che rende l’uomo capace di miracoli: absit iniuria verbis! In questa prospettiva le poesie, come percorso emozionale che incrociamo prima o poi nella nostra esperienza terrena, entrano a far parte di noi, dei nostri ricordi e racchiudono, come istantanee, infiniti scampoli delle nostre esistenze, quasi melodie senza tempo. Le rime, metafore illuminanti, sprazzi di luce fulminanti, diventano complici dei nostri pensieri, compagne dei nostri viaggi, talvolta, alibi delle nostre debolezze, che, tuttavia, col tempo riescono anche a farci capire come dovrebbe funzionare l’esistenza, pur con le sue inquietudini, le sue illusioni, le sue speranze, le sue difficoltà. E così Anna Maria canta la luna e la Pasqua, il cuore e la malinconia, il cielo e il carnevale, il pensiero e la passione, l’incanto e la gentilezza, il pianto e il sospiro. Chissà se, più della poesia, ci sia un’altra forma di espressione artistica che sappia meglio raccontare e adeguatamente sintetizzare questo “guazzabuglio del cuore umano”! Chissà che non sia nel giusto il Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia, che reputa “il poeta un genio profetico che sa dire le cose in maniera bruciante: spesso meglio del filosofo”! Ma a chi si rivolge innanzitutto la nostra? A Padre Pio, “santo come la musica che ha trasmesso in tutti noi”, al gran Dio Onnipotente perché “dall’Eterno, se può, mandi luce per noi, mandi pace”, al dolce e buon Gesù, alla Vergine Madre di Dio, alla Madonna di Pompei, a papa Woityla. Ma poi incrocia la mamma, il fratello, un bimbo, una ragazza, i disastrati dello Tsunami e ti accorgi che chiunque vada ad imbattersi nei “sogni dei poeti” trova “specchi come mari trasparenti, impregnati di pensieri vagabondi che nessuno può annullare perché immensi e ispirati da un desio che si immerge nell’amore”! Perciò se volessimo interrogarci sul senso della nostra presenza terrena, per cercare di dare delle risposte alle nostre domande, uno degli esiti di questo percorso è certamente il riscontro del senso del mistero che la contraddistingue. Questo senso del mistero della vita, se è sorretto dalla volontà di spiegarla, assume il carattere della ricerca finalizzata a scoprire, al di là di esso, il valore assoluto dell’uomo e il suo destino ignoto. Quando tale consapevolezza diventa contemplativa, porta con sé una sorta di doloroso smarrimento di fronte alla sua impenetrabilità, che, fiaccando la tensione del ricercatore, conduce alla solitudine, allo scetticismo, alla incomunicabilità, perché, come diceva Ungaretti, è impossibile abbattere il “muro d’ombra” o, come più esplicitamente affermava Montale, urtiamo contro quella “muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”! Tuttavia in questa prospettiva gnoseologica, se entra, la poesia diventa possibile strumento di conoscenza del mistero che ci avvolge. Superata la filosofia (oggi si teorizza sul “pensiero debole”), che si è rivelata incapace di dare una qualunque certezza, e, ritenuta insufficiente anche la scienza, che non mantiene le sue promesse di liberazione, l’uomo, naufrago del terzo Millennio Cristiano, in un mondo con poca luce di provvidenza e di razionalità, può trovare nella poesia un “trait d’union”, che lo può mettere in comunicazione con l’ignoto, con l’inconscio e con l’assoluto. La poesia assume una funzione conoscitiva, in quanto, non essendo solo espressione di lirismo sentimentale o ornamento di verità intellettuali, morali e religiose, si realizza come illuminazione e rivelazione. E il poeta, non più soltanto maestro di umanità, di equilibrio e di moderazione, né apostolo della verità o celebratore della bellezza e dell’armonia, né, tantomeno, divulgatore della scienza o cantore dei più nobili ideali umani, diventa come “veggente”: un indagatore del mistero, dell’inconscio e dell’assoluto, a cui perviene per improvvise folgorazioni e intuizioni, che permettono di scoprire l’universale corrispondenza e analogia delle cose. Il poeta-veggente, quindi, assumendo la funzione di illuminare e svelare l’ignoto, e facendo della poesia una sorta di dialogo con gli altri, la propone come rassegna delle sue individuali sensazioni e raffinate emozioni. Proprio come fa Papa, che si avvale, spesso, di un linguaggio polisemico, che solo spiriti affini possono comprendere, se sono dotati, però, della capacità di percezione di quelle sensazioni, che si materializzano in versi densi di sfumature. Per tale via le sue poesie recano l’eco di un nuovo e misterioso mondo, prima ignoto e che oggi, invece, comincia a delinearsi in quell’immaginario individuale, che ci porta a comprendere come tutte le vicende umane abbiano tra loro un legame misterioso. Spesso una ne richiama l’altra, come accade per le note musicali, per i colori, per le essenze profumate o con … le ciliegie, che, come notoriamente si dice, una tira l’altra!


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