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Attualità
Due poesie per il 2008 a cura di Giancarlo Fornari

champagne.jpgAncora due poesie, questa volta di Borges e di Primo Levi, come augurio di fine anno per i nostri lettori. Come Francesco, Borges si rivolge al Creatore ringraziandolo per i suoi doni: a cominciare dalla ragione, che si sforza invano di trovare un qualche disegno nel misterioso labirinto che è il nostro universo, per arrivare al mare, all’amore, alle strisce della tigre, all’oblio, al mattino, alla notte, alle torri di Manhattan, al sonno, alla morte e infine alla musica, “misteriosa forma del tempo”. Una poesia, dice Borges, che è inesauribile perché si confonde con la somma delle creature e non arriverà mai all’ultimo verso. Dai doni ai loro distruttori nella poesia di Primo Levi. Borges ringrazia per le creature dell’universo, Levi ci ricorda che dobbiamo fare i conti con tutti coloro che sono sempre pronti ad aggredirle con violenza, a sfregiare per puro divertimento quanto c’è di più bello, a stuprare e a uccidere. L’augurio è che i distruttori, oggi sempre più feroci, non abbiano la meglio su chi vede nel mondo un dono su cui piegarsi con rispetto e amore. Buona lettura.
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UN’ALTRA POESIA DEI DONI
Ringraziare voglio questo divino
labirinto degli effetti e delle cause
per la diversità delle creature
che compongono questo singolare universo:
per la ragione, che non cesserà di sognare
un disegno del labirinto,
per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità,
per il fermo diamante e l’acqua mossa,
per l’algebra, palazzo di precisi cristalli,
per le mistiche monete di Angelus Silesius,
per Schopenhauer, che forse decifrò l’universo,
per lo splendore del fuoco
che nessun essere umano può guardare senza uno stupore antico,
per il mogano, il cedro e il sandalo,
per il pane e il sale,
per il mistero della rosa
che prodiga il colore e non lo vede,
per certe vigilie e giornate del 1955,
per i duri mandriani che nella pianura
aizzano le bestie e l’alba,
per il mattino a Montevideo,
per l’arte dell’amicizia,
per l’ultima giornata di Socrate,
per le parole che in un crepuscolo furono dette
da una croce all’altra,
(…….)
per l’oro, che sfolgora nei versi,
per l’epico inverno,
per il nome di un libro che non ho letto: Gesta Dei per Francos,
per Verlaine, innocente come gli uccelli,
per il prisma di cristallo e il peso d’ottone,
per le strisce della tigre,
per le alte torri di San Francisco e dell’isola di Manhattan,
(……..)
per il geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,
per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,
per l’odore medìcinale degli eucalipti,
per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
per l’oblio, che annulla o modifica il passato,
per la consuetudine,
che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
per il mattino, che ci procura l’illusione di un principio,
per la notte, con le sue tenebre e le sue stelle,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la patria, sentita nei gelsomini
o in una vecchia spada,
per Whitman e Francesco d’Assisi, che scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e varia secondo gli uomini,
per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoì figli
perché moriva in così tanto tempo,
per i minuti che precedono il sonno,
per il sonno e la morte,
i due tesori occulti,
per gli intimi doni che non elenco,
per la musica, misteriosa forma del tempo.
(Jorge Luis Borges)
DATECI
Dateci qualche cosa da distruggere,
Una corolla, un angolo di silenzio,
Un compagno di fede, un magistrato,
Una cabina telefonica,
Un giornalista, un rinnegato,
Un tifoso dell’altra squadra,
Un lampione, un tombino, una panchina.
Dateci qualche cosa da sfregiare,
Un intonaco, la Gioconda,
Un parafango, una pietra tombale.
Dateci qualche cosa da stuprare,
Una ragazza timida,
Un’aiuola, noi stessi.
Non disprezzateci: siamo araldi e profeti.
Dateci qualche cosa che bruci, offenda, tagli, sfondi, sporchi,
Che ci faccia sentire che esistiamo.
Dateci un manganello o una Nagant,
Dateci una siringa o una Suzuki.
Commiserateci.
(Primo Levi)


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