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Il sacchetto dove lo metto? Dove lo metto, non si sa… Ugo Persice Pisanti

rifiuti.jpgRicordate il ritornello della canzone di Domenico Modugno: “Il vecchietto”? L’ho presa in prestito per il titolo del pezzo perché si prestava al gioco di parole: vecchietto/sacchetto. Certo ci sarebbe voluto un po’ più di fantasia, ma le troppe risate mi hanno lasciato senza forze, né fisiche né mentali. Eppure, in questi giorni, la fantasia galoppa. I geni sono all’opera. Le proposte più assurde per risolvere l’emergenza rifiuti, piovono nelle redazioni dei giornali, regalando momenti d’autentica ilarità a persone, come me, provate da giorni e giorni di monotone argomentazioni: rifiuti, discariche, monnezza, siti di stoccaggio ecc.
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C’è chi propone d’inviare i rifiuti nel deserto, dimenticando i confini nazionali ed internazionali, i costi di trasporto (sia all’andata sia al ritorno), le popolazioni locali, le temperature proibitive, la mancanza di strade, le tempeste di sabbia, la dignità umana ecc. Qualcun altro propone di usare il Vesuvio per depositare l’eco-balle (ve le immaginate le cartoline a forma di sacchetto dell’immondizia?), altri d’utilizzare l’Etna al posto degli inceneritori, altri ancora, i più tecnologici, di inviare il tutto sulla Luna o su Marte, scegliete voi. Insomma un vero e proprio florilegio d’immani imbecillità, che avrebbero fatto la felicità del più gran raccontatore di balle della storia dei personaggi letterari: il Barone di Münchausen. Tornando alle cose serie, ritengo che chi dovrà occuparsi della gestione post emergenza dei rifiuti dovrà prima di tutto definire con chiarezza gli obiettivi da raggiungere ed i tempi nei quali realizzarli. L’obiettivo primario dovrebbe essere la riduzione “a monte” della produzione dei rifiuti. Con opportuni interventi coordinati: sui produttori, sui commercianti e sui consumatori finali, si potrebbe giungere ad una sostanziosa riduzione degli imballaggi sin dall’origine. I produttori di qualsivoglia manufatto industriale, dovrebbero essere incentivati (anche economicamente) ad ottimizzare le loro linee produttive, in modo da ridurre al minimo la quantità di materiali non riusabili, riciclabili o compostabili. La popolazione dovrebbe essere educata alla scelta dei prodotti con imballaggi e confezioni meno ingombranti. Gli imballaggi dovrebbero essere tutti riciclabili e fatti con materiali non inquinanti. Si dovrebbero responsabilizzare i produttori, rendendoli punibili per le eventuali ricadute negative di quanto da loro realizzato al di fuori delle norme di salvaguardia dell’ambiente e della salute. I produttori ed i consumatori dovrebbero essere chiamati a rispondere in solido per la produzione e l’uso di materiali non riciclabili. Per quanto concerne gli imballaggi sarebbe più che necessario, per ogni Comune, trovare un accordo con il CONAI (Consorzio Nazionale per gli Imballaggi), per stabilire le modalità di raccolta del materiale utilizzato nelle industrie. Forse non tutti sanno che, su dieci chilogrammi di rifiuti, solo un chilo e duecentoventicinque grammi sono composti di materiale non riciclabile. Dieci chili di rifiuti sono composti, mediamente, anche da due chili e ottocento grammi di rimasugli vegetali, due chili e duecentocinquanta grammi di carta, cartone e altri derivati della cellulosa, un chilo e quattrocento grammi di materiali plastici e derivati dal petrolio, ottocento grammi di vetro, ottocento grammi di materiali legnosi e cinquecento grammi di scarti metallici. Questi sono tutti materiali che possono essere più volte riutilizzati attraverso una seria raccolta differenziata. Se riuscissimo a recuperare tutto, potremmo fare tranquillamente a meno di costruire nuovi termovalorizzatori. Alcune città italiane e, soprattutto nei paesi esteri più avanzati, già da tempo si pratica la raccolta definita “porta a porta”. Operatori specializzati ritirano i sacchi (rigorosamente trasparenti per permettere il controllo del contenuto e scoprire eventuali “intrusioni indesiderate”) direttamente al domicilio del cittadino. Con questo sistema molti comuni sono passati dalla tassazione alla tariffazione, con enorme vantaggio economico per ogni singolo utente, in quanto il pagamento avviene in proporzione alla quantità di rifiuti che si producono e non più in relazione alle dimensioni dell’abitazione o al numero dei componenti del nucleo familiare. Questo è l’unico modo per invogliare la popolazione a produrre meno rifiuti e a differenziarli correttamente. Altro obiettivo primario è la creazione delle cosiddette “isole ecologiche”. In questi centri di raccolta i materiali legnosi, gli elettrodomestici, i materassi, i rifiuti elettronici, gli oggetti ingombranti, sono selezionati, eventualmente riparati o inviati nei centri di trattamento. Queste sono solo alcune delle possibili alternative ai termovalorizzatori, che, non dimentichiamolo, sono fonti pericolosissime d’emissione di sostanze inquinanti, in primis: le diossine. Tra i tanti aspetti positivi, uno dei più rilevanti dal punto di vista sociale è la possibilità di creare tantissimi nuovi posti di lavoro e, per come stiamo messi ora, scusate se è poco! Per raggiungere anche solo una parte di questi risultati non mancheranno gli ostacoli da superare. Sarà necessario uno sforzo comune da parte di tutti gli “attori” in campo. Speriamo solo che qualcuno non ci venga a ricordare che le alternative ai termovalorizzatori non sono possibili. Se mancherà il coraggio politico di operare scelte di buon senso e orientate ai reali bisogni dei cittadini, penso che, stavolta, saranno proprio i cittadini a far valere le proprie ragioni. Il tempo delle deleghe in bianco è passato, è meglio che chi ha ancora voglia d’intrallazzare se lo scolpisca bene in mente. La popolazione è esasperata. Ora occorrono solo soluzioni. Basta con le parole. La cittadinanza chiede solo la tutela della propria salute e il miglioramento della qualità di vita attuale e, soprattutto, di quella delle future generazioni.


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