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“Pescatori di niente” di Antonio Cacciapuoti, edizione Cento Autori Luigi Alviggi

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Cittadino della Grande Napoli, docente di lettere, Antonio Cacciapuoti ha già pubblicato diversi lavori di rilievo ispirati alla realtà delle nostre zone, ma in questo il respiro si allarga e trascende una geografia specifica nell’accompagnare passo per passo, lungo l’arco di un trentennio, la vita di un prete – don Andrea Parisi – dal seminarista dei primi anni ’50 fino al ministro di Dio, profondamente travagliato nell’esercizio del suo ministero, che si avventura negli anni ’80.

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È la storia della vocazione sacerdotale in un uomo che ama chiedersi “verso dove e perché?” e che, con l’avanzare degli anni, percepisce sempre più nebuloso l’obiettivo finale e sempre più incerto il relativo cammino. Il problema è che le fondamenta della casa, edificata con entusiasmo e buona volontà, si sgretolano, poggiate sulla sabbia dissolta dalle onde della vita. L’interesse dell’Autore per le cose ecclesiastiche è di antica data.

 

Non sono le tentazioni frivole a far vacillare don Andrea. Ama frequentare i giovani ed un po’ di bel mondo, ed il bell’aspetto lo fa finire in situazioni scabrose, a tu per tu con belle donne che non chiederebbero di meglio che cedergli con la minima spinta, ma non è qui – nel contesto più scontato – che si annida per lui il demone seduttore. Piuttosto da queste situazioni, vere o supposte che siano, nascerà a danno di Andrea un fiume di maldicenze che approderà senza indugi all’orecchio dei superiori, sempre prono a voci di questo tenore, anche perché fin troppo spesso è in questi guadi che soccombono le migliori chiamate.

 

“E’ mai possibile che la volontà di Dio consista nel proibirmi di amare una donna? E dove sta scritto mai? La misoginia è un carattere esclusivo del cristianesimo occidentale. Ti sei dimenticato la tesi sostenuta da S. Alfonso? Che se due coniugi avevano avuto rapporti sessuali, non potevano fare la comunione senza essersi prima confessati? Se la Chiesa, invece di occuparsi di queste cose, si fosse preoccupata di esigere con altrettanta caparbietà il conseguimento della giustizia, della pace e della fratellanza tra gli uomini, forse oggi avremmo un mondo più giusto. Non sei d’accordo? Il celibato dei suoi discepoli era l’ultima, ma proprio l’ultima, preoccupazione di Gesù. Il problema vero è la mentalità della gente alla quale si è fatto credere che un prete non possa e non debba amare una donna. Un prete con l’amante sì – anche se diventa oggetto di pettegolezzi – e quello che decide di sposarsi no. Non ti sembra una palese contraddizione? Ma, chissà perché, tutti preferiscono così. Da sempre. Popolo e gerarchia”.

“Ma una moglie e una famiglia,” insistette don Andrea “sarebbero una palla al piede per il ministero sacerdotale. Come farebbe il prete a dividersi … “.

“Questo è un altro discorso e anche questo è falso. Guardati intorno, Andrea! Quali sono i frutti di questa supposta, totale dedizione del prete celibe alla sua comunità? Io ne vedo ben pochi. Sono convinto che anche un prete sposato possa esercitare con efficacia il suo ministero. E sarei felicissimo di farlo. Ma se questo non mi è possibile, nessuno ha il diritto di colpevolizzarmi e di gridare allo scandalo se sono costretto ad abbandonare il sacerdozio per sposare la donna che amo.” .

 

Ecco le parole del miglior amico – don Michele – compagno di seminario e di innocenti gite giovanili, all’atto dello svanire di una vocazione pensata tra le più radicate, e sulla stessa strada diversi altri compagni, supposti saldi e ben presto caduti. Non è, però, così per Andrea. Egli subisce le avances femminili, ma la grande dirittura morale che si porta dentro costituisce un baluardo naturale. Non deflette, anche se il travaglio interno, di ben altra natura, a causa di questi episodi sembra incistarsi, tagliando ogni collegamento con l’esterno. Si isola sempre di più e niente può aiutarlo a districarsi tra i grandi interrogativi che gli punteggiano l’animo come piaghe metafisiche, avvelenando l’intimo. E con la Chiesa ancorata ai canoni del Concilio di Trento (1550 circa), don Andrea deve fare i conti già dagli anni della formazione seminariale. Oltre quattro secoli di storia sembrano essere trascorsi invano.

 

Giunge poi il difficile cimento degli anni del terrorismo, con il culmine nell’uccisione di Moro, inutilmente preceduta dall’accorato appello agli ” Uomini delle Brigate Rosse ” di Paolo VI.

 

“Vedrai che ce la farà!” si ripeteva. “Non è possibile che nel cuore dei brigatisti non sia rimasto neanche un briciolo di umanità e di pietà. Il fine, ammesso che sia buono, non può giustificare l’uso indiscriminato della violenza. O, peggio ancora, l’uccisione a sangue freddo”. 

“L’hanno già fatto altre volte!” gli ripeteva 1’altra voce. “La posta in gioco, per i brigatisti, ormai è troppo alta! Ammazzeranno anche lui!”.

E lo fecero.

Nel suo animo si insinuò un sentimento di cui non si credeva capace, un sentimento di acrimonia, di repulsione, di intolleranza, di condanna senza appello. Eppure, senza mai ergersi a giudice, ne aveva assolti di peccati! Ma questa volta era diverso. Non solo per la ferocia dell’atto in se stesso, ma anche per il precipitare delle sue illusioni e dei suoi idealismi. E per 1’inutilità della morte di Cristo. Perché la spada, contrariamente alla profezia di Isaia, non si sarebbe mai trasformata in vomere. Il lupo non si sarebbe mai accompagnato con 1’agnello né il leone con il toro e il bambino non avrebbe mai giocato sulla buca dell’aspide.

Perciò, don Andrea andava pensando che i seminatori continuavano a spargere un seme che o se lo portava via il vento, o cadeva solo tra i sassi e tra le spine.

E le spine crebbero e lo soffocarono.

Il mondo del quale Cristo, vincitore sulla morte, doveva essere il fondamento, cosi come egli aveva sempre creduto, cadeva a pezzi.” .

 

In effetti la barca di don Andrea stiva sempre più acqua mentre il timoniere non sa trovare motivazioni valide a svuotarla, per renderla di nuovo agile come agli inizi del sacerdozio. Un’imbarcazione appesantita men che mai riuscirà a raccogliere qualcuno nelle travagliate acque del vivere odierno. Il naufragio incombe, evento inevitabile.

 

Nella tarda mattinata, prese 1’abitudine di sedersi sulla riva del lago. Su quello di Tiberiade, Gesú aveva scelto i primi Apostoli.

Venite appresso a me e vi farò pescatori di uomini!

Un vecchio cappuccino veniva, tutte le mattine, a celebrare la messa alle suore. Con la barba fluente, gli occhi lucidi e il saio un po’ maleodorante, assomigliava ad uno degli antichi profeti di Israele. Don Andrea credette opportuno andargli a confidare i suoi stati d’animo, le sue lacerazioni interiori, la lotta tra la fede e la ragione e, soprattutto, i dubbi sull’efficacia dei Sacramenti.

«Padre!» gli disse. «A che serve tutto questo? Non siamo piú “pescatori di uomini”… non peschiamo piú niente! Mi sembra tutta una finzione».

«Uomo di poca fede! Che cosa dice Gesú nel Vangelo? Ahbiate fede in Dio! In verità vi assicuro che se uno dirà a questa montagna: sollevati e gettati in mare e crederà che ciò avvenga, cosí avverrà».

«Ma allora dobbiamo concludere che nessuno di noi ha veramente fede perché, da secoli, non si sposta neanche un granellino di sabbia!».

«Figliolo, il metro col quale Dio misura il tempo non è uguale al nostro. Dio non è impaziente come noi. Il suo tempo è l’eternità».

«Noi, però, operiamo nel tempo ed è nel tempo che vorremmo vedere dei cambiamenti. Altrimenti che ci stiamo a fare? Quale funzione abbiamo noi religiosi? E, infine, che cosa è la vocazione? In seminario, il padre spirituale ci ripeteva spesso le parole di Sant’Agostino: Se non sei stato chiamato, fa in modo di esserlo. Ma il nodo gordiano che non riesco a sciogliere, è proprio questo: chi è chiamato? E a fare che cosa?” .

 

Emblematico è il colloquio con l’arcivescovo di turno. Andrea, che nulla ha da rimproverare alla sua coscienza, si trova a dover vestire i panni del peccatore, cucitigli addosso dalla arida inquisizione dell’esponente della Chiesa pontificante. Avrà la peggio perché la sua Chiesa militante non coniuga il rigido binomio di fede ed osservanza ligio ai precetti fissati dalle gerarchie ecclesiastiche.

 

I dubbi assillanti lo condanneranno alla vita di eterno vice-parroco alla mercé di superiori diretti, mentalmente occlusi da tradizioni e pratiche che vedono il sacerdote protetto nel fortino del suo essere diverso. Ad Andrea, invece, piace vivere con e per gli altri e rimane sospeso tra l’empireo dei serafini ed il terreno degli uomini, incapace del volo per lui smisurato che le gerarchie del clero si attendono.

 

L’apostolato operante, aspirazione di Andrea, si scontra col dogmatismo immutabile di ciò che è stato scritto una volta ed ha da valere per sempre, in un conflitto che si rivela, ancora una volta, insanabile. Sono questioni di sempre e la risposta che Andrea cerca non è codificata da qualche parte, pronta per essere recepita. Il travaglio della mente fa incespicare il corpo e la caduta dell’una trascina seco anche l’altro. Accostandosi all’antitesi perenne di fede e ragione, solo la coscienza del singolo – nelle tante sfaccettature che costituiscono la sua irripetibile identità – può essere il faro supremo di ogni possibile cammino.

 

 

 

 

 

 

 


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