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Noa, la musica come strumento per avvicinare mondi diversi Valeria Panerai

Noa (foto Valeria Panerai).jpg

In tempi in cui la convivenza tra popoli, culture, fedi pare sempre più difficile – nel nostro Paese come in tutto il mondo, ahimè – per fortuna ogni tanto c’è qualcuno che, con la sua stessa esistenza, mostra come la diversità possa essere base di confronto, fonte di arricchimento, sorgente di pace e di vita.

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I concerti di Noa sono per me – e credo per tutti quelli che hanno la fortuna di ascoltarli – proprio oasi di vita, di profondità e di pace.

 

La cantante ebrea israeliana di origini yemenite e cresciuta a New York è l’immagine vivente e concreta di come culture diverse possano convivere insieme e dar vita a creazioni originali, accattivanti, coinvolgenti.

 

Il Genes and Jeans tour che Noa sta portando in giro per l’Europa da mesi vuole comunicare esattamente questo e mostrare che la musica  – come ci ha detto, raggiante, durante il concerto in favore di Telethon presso l’auditorium di Milano – è la migliore piattaforma, il migliore strumento per avvicinare mondi diversi che spesso oggi sono, purtroppo, in conflitto.

 

Altro dato straordinario: in un mondo e in un momento segnati profondamente da un individualismo esasperato, da un egocentrismo che non ci permette di riconoscere i bisogni, i desideri, i diritti dell’altro, Noa è un esempio di apertura mentale, di umiltà, di consapevolezza che ogni grande riuscita è opera comune e non di una sola persona, che da soli non si va molto lontano. Non dice mai “Questo brano è tratto dal mio ultimo cd“, ma “dal nostro ultimo cd“; lascia moltissimo spazio ai suoi strepitosi musicisti ai quali è peraltro legata da forti sentimenti di amicizia e di affetto (e si vede); non finisce mai di ringraziare tutte le persone, dalla più alla meno importante, che hanno contribuito alla perfetta riuscita della serata.

 

Noa crede profondamente in quello che dice a parole e con la musica: il suo messaggio è talvolta talmente semplice, evidente e tuttavia così sincero e profondo da lasciare disarmati.

 

Ad esempio Follow your heart (segui il tuo cuore) è una canzone che prende spunto dalla biografia della cantante nel momento in cui, poco più che ragazzina, ha deciso di lasciare gli USA e di andare in Israele per amore e che invita a compiere le scelte non in base all’emotività del momento, ma appunto all’amore forte che abita nel cuore. Proprio per questo all’interno della canzone El ha maayan (improvvisazione su un motivo popolare che racconta la storia biblica di Rachele e Giacobbe: una riflessione sulla costanza e sulla tenacia dell’amore vero) Noa e i suoi 5 musicisti intonano per lungo tempo la parola “Love” intervallata da auguri, ringraziamenti, speranze: “love, love, love” tra ebrei e arabi; grazie per il vostro “love love love“; fate tutto per “love, love, love“…hanno una capacità di comunicare bellezza e fiducia straordinaria! Sulle loro bocca la bistrattata, abusata, svilita parola amore riacquista senso e profondità.

 

Tale è l’entusiasmo della cantante e cantautrice per il nuovo album che il concerto è composto fondamentalmente da canzoni tratte appunto da Genes and Jeans, mentre uno spazio minore è lasciato ad alcuni suoi classici più o meno rivisitati (la nuova versione di Mishaela, con l’inserto del ritornello cantato a cappella è da standing ovation!). Si rimane in ambito etnico con Yuma e Ray of light, trionfo di percussioni e di vocalità strabilianti, e si finisce con la orecchiabile, ma davvero incisiva Shalom shalom (nel ritornello Noa spesso canta e ci fa cantare Salam Salam!), un inno alla pace coinvolgente ed entusiasmante: “Non voglio vivere nell’illusione che non ci siano molte possibilità che le cose cambino nel mondo. (…)Davvero non hai bisogno di alcun diploma per comprendere questa grande diversità, devi solo liberare la tua mente da tutti i pregiudizi e usare la tua bocca per ridere, chiedere e baciare. E così, quando vieni e quando vai le tue parole siano “Pace, ciao arrivederci”! Comunica, comunica! Non dire “O Dio, sono arrivato troppo tardi!” Sei sempre benvenuto alla porta dell’amore per lavare dai tuoi piedi la paura e l’odio (…) E così se la nostra strategia è l’amore e tu dici “Ma come, così semplice?” Io dico “Sì, ma facile da dimenticare“.

 

Noa sa cantare ad occhi chiusi quando la profondità del momento lo richiede (Ani tzameh fa letteralmente venire la pelle d’oca per l’essenzialità struggente e chiara della melodia e per l’interpretazione ogni volta incredibilmente toccante), sa ballare con intensità travolgente (Heart and head; Genes and Jeans), sa suonare il pianoforte (emozionante la dolcezza con cui suona e canta The balancing act -la vita è un gioco d’equilibrio- dedicata ai suoi due figli); sa suonare le percussioni con energia straordinaria: splendido il pezzo yemenita che ci regalano – come ennesimo bis – Noa e il suo percussionista che suonano delle latte di olio: agli Ebrei non era concesso l’uso di alcuno strumento musicale e dunque si arrangiavano con oggetti di uso quotidiano.

 

I concerti di Noa permettono, dunque, di rivivere il viaggio che la stessa cantante ha percorso: una presa di coscienza delle proprie radici, una nuova consapevolezza della propria identità, una visione più matura, meno radicale, meno manichea, meno ingenua della vita, del mondo, dei rapporti tra le persone.

 

Le esibizioni di Noa e dei suoi musicisti hanno dunque un doppio valore: sono una performance musicale di elevatissimo livello e insieme un momento di profonda e rara umanità. Di questi tempi, davvero niente male.   

 

 


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