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Attualità
Dopo il decreto legge su Eluana, adesso si che ci stiamo avviando al regime Giancarlo Fornari

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La situazione è semplice. Tentare di aggirare con un decreto legge una sentenza passata in giudicato significa esautorare i poteri della magistratura. Intervenire con un decreto legge in una materia sulla quale sta legiferando il Parlamento significa esautorare il potere legislativo.  Approvare un decreto legge su una questione individuale significa aggirare la Costituzione, che pretende che la legge abbia un contenuto generale e non personale.  Approvare un decreto legge nonostante il Presidente della  Repubblica abbia fatto sapere preventivamente che non lo avrebbe firmato significa voler scavalcare la sua autorità e tentare di indirizzare subdolamente verso di lui – che secondo la Costituzione rappresenta l’unità della nazione e come tale va rispettato – l’avversione di quanti considerano un assassinio la decisione di mettere fine, dopo diciassette anni, all’agonia di Eluana.

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Ci sono tre frasi pronunciate in questo frangente dal presidente del consiglio che rivelano chiaramente la sua personalità border line, tipica di chi non vede nulla al mondo al di là del proprio ego, dei propri obiettivi, dei propri interessi e valori. La prima – “se non posso fare un decreto legge vuol dire che cambierò la Costituzione” – dimostra  la sua tracotanza e la sua ormai scoperta convinzione che i tempi siano maturi perché il paese possa incamminarsi verso forme di cesarismo. E Cesare chi, naturalmente, se non lui? La seconda – “Eluana Englaro sarebbe in grado di generare un figlio” – è agghiacciante nella sua bassezza morale. Forse con uno stupro, o una inseminazione artificiale, la povera ragazza, in stato vegetativo da diciassette anni, potrebbe rimanere incinta? E chi se ne farebbe carico, forse lui? Già solo un’immagine di questo tipo è una violenza fatta ad Eluana, un’idea concepibile solo da una mente malata, il prodotto di una cultura che considera il corpo della donna un mero recipiente, animato o inanimato che sia, del seme maschile. La terza frase – “No, non penso a un impeachment del Presidente della Repubblica” – è quella più viscida, perché mentre nega un fatto a cui nessuno poteva aver pensato – che Napolitano possa essere messo in stato di accusa per attentato alla Costituzione – nello stesso tempo lo insinua, vi allude, in qualche modo lo prefigura, arriva a minacciarlo. Così, con un incredibile scambio delle parti, colui che ha più volte attentato, e stava adesso clamorosamente attentando, alla nostra Costituzione, insinua che l’attentatore sia invece colui che lo ha costretto a rispettarla.

 

In una lettera aperta indirizzata a fine anno al Presidente Napolitano avevamo accennato al rischio, che dopo tanto gridare al lupo sta prendendo corpo in questa legislatura, di una deriva autoritaria che unisca le ormai incontrollate ambizioni napoleoniche dell’uomo di Arcore con le ciniche intenzioni della Chiesa di trasformare la nostra Repubblica in una sharia cattolica anziché mussulmana. Deve preoccupare, avevamo scritto, la saldatura che si sta creando tra le ormai sempre più scoperte ambizioni del Vaticano a prevaricare il nostro potere legislativo in tutte le materie che gli interessano e l’aspirazione ad essere legittimato nel ruolo di “Nuovo Uomo della Provvidenza” da parte di colui che ormai non fa mistero di volersi insediare al Quirinale munito di poteri speciali. Un uomo abbastanza cinico da fare suo il motto “Parigi val bene una messa” se questo può consentirgli l’investitura delle gerarchie religiose e agevolare il suo disegno politico. Con le manovre di squadrismo amministrativo del ministro Sacconi e con i decreti scritti sotto dettatura del Cardinal Bagnasco questa saldatura sta diventando sempre più stretta. E il caso Englaro è forse proprio quello che serviva al padrone di Mediaset per cercare di realizzare senza mobilitazioni di camicie nere o di veterani della campagna d’Italia il suo 18 brumaio o il suo 28 ottobre. Ma almeno quei due, Napoleone e Mussolini, criminali di guerra come erano, erano criminali di una certa grandezza, mentre questo è un piccolo uomo che solo una piccola Italia – guardiamoci negli occhi – può mantenere al potere. L’immagine che richiamano i tentativi di golpe di questo personaggio non è quella eroica degli Emiliano Zapata o dei Pancho Villa tramandata dall’iconografia hollywoodiana ma quella criminale di Banditi a Milano sceneggiata da Carlo Lizzani.

 

Per combinazione proprio domani, 8 febbraio, cade l’anniversario del giorno in cui Giordano Bruno fu costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza di condanna al rogo eseguita in pompa magna dalla Chiesa cattolica a Campo de’ Fiori: a fuoco lento, per farlo soffrire di più.
Quello che stanno cercando di eseguire in questi giorni Berlusconi e i suoi manutengoli, braccio secolare delle gerarchie vaticane, è un altro rogo, quello della costituzione democratica nata dalle ceneri del fascismo. Certo non è realistico pensare che saremo costretti a una nuova Resistenza. Ma forse non sarebbe sbagliato cominciare a contarci.


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