La Società italiana affronta la delicata situazione economica con la tranquillità di una cultura democratica che, nonostante tutto, sembra assai vicina alla rassegnazione. E questa specie di conformismo che sembra avvolgere ogni cosa può trovare ragione nella forza che la religione ha nella società italiana. >>>>
Sede dello scettro del successore di Pietro, la realtà italiana mai sarà comprensibile senza tenere conto della componente religiosa. In questo caso, la dottrina cattolica, che parla di “valle di lacrime”, può costituire un balsamo etereo que alleggerisce gli animi nei momenti più duri, quando la situazione sembra insostenibile. In ogni caso, l’Italia è un paese seminato di idee che si plasmano in mille dibattiti che, molte volte, non conducono a nulla di concreto. Dalla parola ai fatti c’è un immenso solco divisorio.
Dal colpo di stato ad opera dei mercati, che imposero Monti come Primo Ministro, gli italiani hanno visto aumentare il loro carico impositivo con la promessa che, successivamente, sarebbe arrivata la crescita. In questi mesi, alla luce di quanto accaduto, non sono pochi coloro che coraggiosammente affermano, a voce alta, “Con Berlusconi stavamo meglio”. La Borsa dei senza lavoro aumenta sempre più. E’ vicina al 9,5% e si prevede que continui ad aumentare. E’ un dato allarmante anche se la Spagna vorrebbe avere un indice di disoccupazione assai simile a quello italiano considerato che il suo 24% costituisce un dramma nazionale. Il dato dei giovani senza lavoro è un esempio di pessimismo. In Spagna raggiunge il 50% circa mentre in Italia si attesta intorno al 30%. Fino a quando tali giovani non inizieranno ad avere dei redditi, non potranno diventare indipendenti, condurre una vita autonoma, creare o non creare una famiglia, contribuire allo sviluppo economico e sociale. Di questo gruppo quelli che più di tutti mi preoccupano sono i “senza speranza”: i tre milioni di giovani italiani che non studiano, non lavorano e nemmeno fanno niente per cercare un lavoro.
Monti disse che lo spread sarebbe arrivato intorno a 200-250 punti in luglio. Tale risultato sembra impossibile da raggiungere. Ciò presupporrebbe un nuovo dissanguamento alle casse dello stato e, chissà, ancora più sacrifici da parte dei cittadini. In questi giorni si è detto che 20-30.000 milioni di euro saranno disponibili per sbloccare i pagamenti non ancora effettuati dall’amministrazione. Quando ciò si verificherà, si tratterà di un movimento in direzione contraria alla corrente che abbiamo constatato da novembre. Comporterà una boccata d’ossigeno per le imprese creditrici e una iniezione per ridare vita al mercato che sembra un ammalato in terapia intensiva da mesi.
Unirsi presuppone accettare le regole decise dall’intera comunità di appartenenza. In questo caso, le regole dell’euro non sono definite, ma si vanno continuamente definendo. (Chissà che gli eurobond aiuterebbero ad uscire dall’attuale cammino avvolto nell’oscurità in cui trovasi l’eurozona). Nonostante tutti i colpi che comporta l’euro, gli italiani generalmente sono favorevoli alla moneta unica, ma esiste anche una parte di scettici che ritengono il passato migliore del presente e vedrebbero di buon occhio il ritorno alla lira. Tornare indietro ora significherebbe tornare al protezionismo, alla Europa degli Stati dove ogni Paese, come feudatario, si preoccupa solo di quanto accade nel proprio ambito come si trattasse di uno spazio dotato di mura da difendere. L’Europa è un insieme di interessi e la crisi finanziaria deve aiutare a comprendere che occorre, affinchè una barca possa navigare, non collocare il carico da una sola parte, ma, piuttosto, cercare l’equilibrio togliendo il peso in più da una parte e aggiungendo peso in quella più leggera.
* Corrispondente in Italia della Radio Nazionale di Spagna