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L’angolo della Poesia / Emily Dickinson Luigi Alviggi

Emily Dick.jpg

He was weak, and I was strong – then –

So He let me lead him in –

I was weak, and He was strong then –

So I let him lead me – Home.      

 

‘Twas’nt far – the door was near –

‘Twas’nt dark – for He went – too –

‘Twas’nt loud, for He said nought –

That was all I cared to know.     

 

Day knocked – and we must part –

Neither – was strongest – now –

He strove – and I strove – too –  

We did’nt do it – tho’!        

 

(1863) >>>>

Lui era debole, ed Io forte – allora –

così lasciò che lo facessi entrare –

Io divenni debole, e Lui fu forte quindi –

così lo lasciai condurmi – a Casa.

 

Non fu lontano – la porta era vicina –

non era buio – ed Egli andava – adesso –

nessun suono, perché Lui nulla disse –

e questo era tutto ciò che mi interessava sapere.

 

Bussò il giorno – e noi dovevamo separarci –

tra noi – adesso – Nessuno era il più forte –

Egli tentò – ed Io tentai – pure –

ma non ci riuscimmo – tuttavia!

 

(traduzione propria)

 

Emily Dickinson nacque ad Amherst (Massachusetts, USA) nel 1830 ed ivi morì nel 1886: una non lunga vita trascorsa tutta nello stesso luogo. Figlia di un ricco avvocato calvinista, ebbe una formazione completa per quei tempi. Molto riservata, visse appartata nell’ombra del severo ma protettivo genitore e, anche dopo la morte di questi, continuò a rimanere segregata per sua volontà. Appare plausibile la tesi – propugnata da più studiosi – che la fortissima poetica interna fosse il potente strumento di rielaborazione del pur modesto e poco frequentato ambiente circostante, e che questa costruzione continua la tenesse tanto assorbita in speculazioni intellettive da sminuire l’importanza di aperture verso l’esterno. Il bisogno della quiete assoluta intorno le garantiva la sicurezza interiore necessaria per dar sfogo al suo mondo poetico.

Pochissimo di lei, ed in forma anonima, fu pubblicato in vita. L’intera silloge – di scarse 1800 poesie, quasi la metà scritte in pochi anni – fu ritrovata dalla sorella dopo la morte.

Lo studioso oxfordiano Lyndall Gordon nell’ultima biografia pubblicata – Lives like loaded guns, Viking Press (2010) – ipotizza una passione segreta della donna per la cognata ed una forma di epilessia che la costringeva a rimanere appartata. Balza agli occhi l’analogia con l’ultima parte della vita di Proust, entrambe a svolgere una funzione traslata di placenta per lo sviluppo di una eccellente produzione letteraria, lontana dagli echi del mondo.

Negli anni ’60 del XIX secolo – i più fertili per la Dickinson -, sotto la presidenza di Abraham Lincoln, gli Stati Uniti sono travagliati dalla guerra di secessione (1861 – 1865). Pochi giorni dopo il suo termine, Lincoln verrà assassinato ma nello stesso anno, sotto il suo successore Andrew Johnson, verrà approvata dal Congresso il fondamentale Atto di abolizione della schiavitù. Ancora in quest’anno comincia negli USA la fortuna letteraria di Mark Twain. 

Recita un verso della Dickinson “I might be lonelier without the Lonelinessmi sentirei più sola senza la Solitudine“, e questo rispecchia l’ipotesi della meditazione trascendente come fucina formativa della sua complessa ed ispirata lirica. Spesso le cose di cui tratta non le ha mai viste, ma dal suo ristretto ambito di vita sa trar fuori – come conigli da un magico cappello – note di assoluta universalità e di profonda suggestione, quali si avvertono nel breve carme riportato.

Il suo lessico prende corpo da una sensibilità fuor dal comune, decisamente eccezionale, animata da spunti imprevedibili, allucinatori ma incisivi, che sanno toccare l’animo di chi legge. La sua vita appare costringersi in recinti, divieti e paure, da lei stessa creati, il tutto per non disperdere ma rinfocolare con dedizione la sacra fiamma che sente ardere dentro. Data l’ermeticità, personale e letteraria, la sua fama non poteva che svilupparsi postuma ed in tempi recenti.

L’intensa storia di una coppia fortuita balza ai nostri occhi nelle tre brevi quartine del carme che, nella scansione di passi successivi, trascende la singola vicenda per divenire emblematica di un qualsiasi possibile breve rapporto.

L’universalità della vicenda appare rinforzata dal maiuscolo dei pronomi personali e dell'”Home”, che si dilata fino a divenire un grembo materno in cui poter rientrare per ottenere una ineguagliabile perfezione, di più, per poter tornare ad essere vergini di eventi, quali si è appena nati, una tabula rasa su cui poter iscrivere ex novo la vita che abbiamo sempre sognato.

La poesia è di impostazione ginecocentrica: l’intervento femminile appare risolvere una situazione pesante, con l’uomo che risorge all’iniziativa e riprende ad “andare”, guadagnando entusiasmo alla vita, anche se poi la coppia dovrà soccombere a fronte di obblighi comuni – non specificati ma intuibili – che non possono essere elusi.

Nell’incontro improvviso c’è qualcosa che subito accomuna i due. Essi, al di là di scontati atteggiamenti, si parlano diritto al cuore e non c’è necessità di parole. L’uomo e la donna appaiono protagonisti ambivalenti: si scambiano i ruoli senza titubanze, trascinati in un vortice di affinità attrattive e consonanze profonde. Esseri soggetti a repentini balzi in avanti quanto a soste inattese – come tutti, e dunque banali sotto questo aspetto – alla volta di un traguardo ambito ma non per questo facile ad  ottenersi.

Con un’impronta personale ben lungi da esperienze di questo tipo, l’Autrice sa delineare condotte universali e incertezze comuni in persone fino a poco prima sconosciute e che, nell’euforia del primo incontrarsi, proiettano intime aspirazioni nel desiderio struggente di un’unione perfetta, quale giace segreta al fondo di ognuno.

Nel substrato di chi vorrebbe far sì che la magia dell’adesso durasse per tutti i giorni a venire, si agitano altri legami, resi forti dal tempo e dalla consuetudine, non meno importanti, che impediscono il librarsi congiunto verso orizzonti sconfinati. Catene che la convivenza sociale ha imposto perché la vita proceda attraverso le generazioni, ineludibili zavorre per anime che sanno di aggirarsi in gabbie dorate dalle sbarre infrangibili.

 

He strove – and I strove – too –  

 

Nel verso c’è l’ineluttabilità del destino avverso, contro il quale ogni umano potere non può che infrangersi.

Nel rigo successivo, a chiusura, si afferma l’impossibilità di padroneggiare la realtà, di plasmarla arrendevole al proprio volere poiché troppo stratificati sono vincoli di abitudini e convenzioni, fuscelli superflui per l’aspirazione alla libertà assoluta ma travi portanti per la struttura del quotidiano vivere. La realtà dell’individuo resta un ordine inalterabile che si costruisce attraverso i giorni, e si fa gioco di ogni sforzo per dominarla. Essa fin troppo spesso, nell’assoluta freddezza naturale, si lascia dietro anime squassate dall’uragano. Imperturbabilità dell’esistenza – veicolo del comune andare – che ci richiama la natura matrigna e oppressiva verso il genere umano della poetica leopardiana.

E, nel tentativo fallito dei due amanti di cambiarsi la vita, la Dickinson non fa altro che rivivere la condanna autoimpostasi. È impossibile perforare lo scafandro che si viene a costruire intorno alla persona e che si erge, affine ed estraneo, a imprigionare il singolo essere.

 

DICKINSON  Emily, Poesie

Newton 2010, pagg. 190 – € 6,00


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