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Guida turistica breve di Aversa

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Progetto “Aversa Diversa: 1° Cultura, 2° Turismo”

Progetto Aversa Diversa
 

Cultura | Storia
Memorie di un emigrato Enzo Di Grazia

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Le occasioni peregrine di “nostalgia della patria” mi portano
inevitabilmente, dall’incanto di ingenuo narratore delle vicende aversane di un
tempo, ad un senso di desolata impotenza, quando rifletto su quello che nella
seconda metà del Novecento (quella che la mia generazione, per fatto
anagrafico, ha vissuto direttamente) è stato fatto alla città e alle sue
memorie. >>>continua>>>

Specialmente sul versante
dell’urbanistica e dell’architettura, gli scempi non si contano; ma è su tutta
la vita culturale della città che sembra pesare il giudizio terribile di Saba
Malaspina che marchiava i fondatori Normanni di insensibilità, arrivismo,
mercenarismo e mercantilismo. Il giudizio, ovviamente, si riferiva ai Normanni
di Aversa del suo tempo, il secolo XI: ma, se il buon sangue non mente, c’è da
temere che quello cattivo faccia bene la sua parte. Riflettendo, dunque, sulla
storia culturale della città, scopro che niente ha avuto veramente spessore e
continuità: i pochi esempi di iniziativa sono stati sporadici e limitati, poco
seguiti e per niente sostenuti, in quasi tutti i campi, dal teatro alla musica,
dalla poesia alle arti visive. E poiché è in questo campo che svolgo la mia
attività, mi è capitato di riflettere su uno dei tanti tentativi sterili –
tipicamente aversani, direi – di costruzione di un progetto culturale, vale a
dire quello di una galleria d’arte, privata naturalmente, perché di iniziativa
pubblica in questo settore non si è neanche mai tentato di parlare, a memoria
umana. Le rarissime occasioni in cui sono stati operati tentativi di costituire
una sala espositiva quasi non contano in nessun contesto, tanto estemporanee e
provvisorie sono risultate, legate come erano per lo più all’impegno di un
operatore che lavorasse “sulla pelle” o che riuscisse ad ottenere il “prestito
temporaneo” di una sala da un Ente pubblico. Agli inizi degli anni ’70, alcune
opportune coincidenze diedero, per un attimo, l’illusione di un fervore di
iniziativa, in parte per una spinta spontanea degli artisti allora emergenti,
favorita dalla costituzione di un Liceo artistico che, dopo lunga gestazione,
si andava concretando; in parte per la nascita di una passione per il dibattito
giornalistico che in quegli anni animava la città e nel quale trovarono spazio
idoneo gli appassionati che si dedicavano all’informazione specializzata.
L’impegno di artisti come Galluccio, Tabarro, Conte, Della Vecchia (a cui si
aggiungevano via via altri della città e della zona aversana, come Nappa, Bova
e Villani) diede vita a sodalizi più o meno provvisori ai quali offrivano
spazio i giornali locali, come la “Gazzetta aversana”, “La Settimana” e “L’ora
di Terra di lavoro” con la collaborazione più o meno specifica di redattori
come Lello Moscia, Demetrio Novembrone, Giuseppe Diana,  Antonio Marino, Giovanni Motti ed altri;
dalle redazioni provinciali dei giornali nazionali Enzo D’Agostino (“Roma”)
Giulio Amandola (“Il Tempo”) ed io (“Il Mattino”) sviluppammo con sempre
maggiore energia cronache, commenti e critiche che approfondivano il dibattito.
In quell’atmosfera presero vita le uniche costruzioni meno provvisorie che si
ricordino, il “Centro d’Arte CZ” e la galleria “La Boheme” (sorta sulle ceneri
di quello) che crearono in città un punto di riferimento non secondario. Non a
caso, il “CZ” nacque dalla collaborazione tra me e i due pittori aversani
Carmine Galluccio e Agostino Tabarro (che avrebbe successivamente cercato di
trasferire l’esperienza nel “Bugigattolo” senza molta fortuna). Non fu
un’esperienza lunga: solo poco più di un anno, dalla fine del 1971 agli inizi
del 1973. Ma si presentò con le carte in regola per essere ambita da molta
parte della cultura visiva del tempo, nel territorio; e fu salutata con
entusiasmo. Si inaugurò con la personale di Giovanni Massimo (di recente
scomparsa) e fu seguita immediatamente da una “avventurosa” esperienza, dal
momento che la sera prima del vernissage la mostra del napoletano Vincenzo
Russo, già allestita, fu visitata da un ladro che prelevò la maggior parte
delle opere ma fu sorpreso dalla polizia che riportò i quadri nella sala e
consentì la regolare inaugurazione. Il calendario vide susseguirsi le maggiori
figure di una “scuola napoletana” allora piuttosto autorevole, da Antonio Bertè
a Giamberti, da Alfonso Bottone a Ennio Bruno, da Eduardo Roccatagliata a
Edmondo di Napoli. Ad essi si alternarono anche i protagonisti della cultura
visiva in provincia, da Antonio Sparaco a Giuseppe Avizzano, da Andrea Martone
all’acquerellista Domenico Gentile. Ma la parte più consistente fu quella
riservata alle emergenze dell’agro aversano, in sintonia con la denominazione
che indicava un Centro Zonale: realizzarono proprie personali i due fondatori,
Agostino Tabarro e Carmine Galluccio, ma furono invitati personaggi di spicco,
come Giovanni Di Giorgio, che fu poi direttore del locale Liceo Artistico, e
giovani emergenti dell’agro come il frignanese Raffaele Bova e l’atellano Nico
Villani. Fu un’esperienza di non lieve conto: e credo abbia contribuito in
parte ad indicare la via che mi consentì di essere tra i protagonisti di
iniziative che si sono mosse nella stessa direzione, come “Lineacontinua” a
Caserta e “la roggia”, molti anni dopo, a Pordenone. Ma si dissolse nel nulla,
quasi di colpo; e per motivi che, a più di trent’anni di distanza, non mi
riesce di individuare, soprattutto alla luce della fortuna che le singole
mostre avevano conseguito e, più ancora, se confrontata ad esperienze di realtà
parallele, come Capua e Santa Maria C.V., 
dove iniziative di sostegno alla cultura visiva contemporanea vantano
almeno una decina di anni di ininterrotta attività. Ad Aversa, invece, anche i
tentativi di avanzare proposte occasionali di esposizione si sono continuamente
scontrati con un ambiente difficile, con l’impraticabilità degli spazi (che
pure non mancano) e con una sostanziale indifferenza sia delle amministrazioni
che del pubblico, finché una decina di anni fa (dopo un ultimo sofferto
tentativo) non ho accettato la realtà di un territorio che in questo campo di
iniziativa è capace solo di fuochi fatui, che fanno apparire e sparire sigle ed
etichette da un giorno all’altro senza riuscire a costruire progetti credibili
e duraturi. Fatalisticamente – e desolatamente – non resta che sperare in una
sorta di miracolo (come finisce per apparire quello che diede via al “CZ”)  che possa avere migliore fortuna, anche se,
di miracoli, ad Aversa se ne sono visti ben pochi, anche a memoria storica;
mentre di inerzie e di scempi gli esempi sono abbondanti.


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