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Progetto Aversa Diversa
 

Cultura | Storia
L’uomo come fine in Immanuel Kant Antonio Serpico

Forse mai come oggi è di attualità
il pensiero di Kant espresso nel campo della morale e del diritto, tanto che
una sua rilettura sarebbe  da consigliare
per risvegliare  nella mente e nel cuore
considerazioni delle quali non dovremmo mai dimenticarci.

Come si sa,  nell’epoca nostra come in quelle passate,
molti ritengono che tutto ha un prezzo, perché può essere sostituito con altro
di valore più o meno corrispondente, e lo valutano come  una merce di scambio: tutto, non solo le
cose, le piante e gli animali, ma anche gli esseri umani. Guerre, omicidi,
femminicidi, violenze contro bambini, extracomunitari, omosessuali ecc., sono
all’ordine del giorno in tutto il globo e ce ne danno notizia tutti i mezzi di
comunicazione di cui ora disponiamo. Situazioni analoghe si verificavano anche
nei decenni di fine Settecento , quando Kant scriveva le opere che lo avrebbero
reso uno dei filosofi più illuminati della storia della cultura moderna. A
queste terribili manifestazioni di irrazionalità profonda, egli si oppose con
l’unica arma che gli era possibile: la riflessione filosofica sulle ragioni
della cattiveria umana e sui possibili rimedi a cui ricorrere per cercare di
correggerla.
>>>

Tra esse mise in particolare
evidenza la sottovalutazione diffusa del valore dell’uomo singolo e della
specie umana come tale.

Egli era convinto che spesso chi
commette uno dei reati accennati sopra non ha tenuto nel giusto valore la
dignità particolare dell’uomo, che lo rende diverso e superiore rispetto a
tutti gli altri esseri viventi.

Questa  dignità non gli deriva dalla materia di cui è
costituito,  modesta e fragile, ma dal
fatto che è soggetto di ragione e di libero arbitrio e, quindi, volendo, è
capace di svincolarsi dai condizionamenti dei propri istinti, interessi  e passioni naturali, per imporre a se stesso
scelte comportamentali che lo elevano all’universalità e lo proiettano in un
mondo di “fini”, il quale lo porta, tra l’altro, ad aspirare ad un
perfezionamento progressivo e continuo della sua persona e dell’ intera umanità
per il conseguimento graduale del “sommo bene” costituito dall’unità della
virtù con la felicità.

            Per
questa dignità – secondo il filosofo – l’uomo:

–          è
l’unico elemento della natura non riducibile a merce, dato che non c’è alcun
essere vivente o alcuna cosa che valgano come lui e, quindi,  possano essere scambiati con lui;

–          a
differenza di altri esseri viventi, è provvisto di particolari capacità grazie
alle quali è in condizione di tutto ricavare da se stesso. Le provvidenze
relative al cibo, alle vesti,  ai mezzi
di difesa e sicurezza esterna (per  la
natura non gli diede né le corna del toro, 
né gli artigli del leone, né i denti del cane, ma solo le mani) ogni
divertimento che potesse rendere piacevole la vita, la stessa sua
perspicacia  e avvedutezza, perfino la
buona disposizione del volere dovevano essere opera sua. …. (Kant, Idea di una
storia universale, Tesi III, in:Il pensiero di Immanuel Kant, a cura di P.
Chiodi, Loscher Editore  Torino 1985, pa.  135);

–          è
fine a se stesso, cosicché non può essere mai adoperato soltanto come mezzo …
ma  sempre contemporaneamente come fine;

–          ha
la capacità di autodeterminarsi e di tendere ad un miglioramento progressivo
della propria condotta morale e questo è il segno più chiaro che distingue
l’uomo da tutti gli altri esseri viventi, e, proprio allo scopo di renderlo
idoneo a conseguire l’obbiettivo della moralità sempre più piena,  la natura 
ha dato a lui la ragione e, su di questa fondata, la libertà del volere
(cfr. Idea di una storia universale, Tesi III, in: Il pensiero di I. Kant, a
cura di P. Chiodi, Loescher editore – Torino1985, p. 134)

Proprio per sottolineare in
maniera solenne e definitiva la sacralità della persona umana, la prima delle
tre formule dell’imperativo categorico da lui suggerite come guida del pensiero
e dell’azione a cui si deve attenere l’uomo proteso a realizzare al meglio la
moralità, è:

agisci in modo da trattare
l’umanità, tanto nella tua quanto nella persona di ogni altro, sempre
contemporaneamente come fine e mai soltanto come mezzo. (Kant, Fondazione della
metafisica dei costumi, a cura di A. Vigorelli, Bruno Mondatori ,
1995/III,  pag. 86)

In questa formula c’è il monito,
rivolto a lui stesso ed a ciascuno di noi, oltre che a tutti i governanti , di
non fare mai violenza o offesa all’umanità dell’uomo ma di ricordare sempre che
non solo gli altri, ma io stesso non posso disporre dell’uomo nella mia
persona, non posso mutilarlo, danneggiarlo, ucciderlo. (ivi, pag. 87)

Accogliendo questo monito, allora
– come  precisa lo stesso Kant nella
Parte II della Metafisica dei costumi – si deve riconoscere quello che sembra a
molti un paradosso, e cioè che nessuna legge può consentire che un uomo,
qualunque sia il delitto da lui compiuto, divenga oggetto di condanne
infamanti, che offendano la sua natura speciale, perché una simile umiliazione
tornerebbe a mortificazione dell’ umanità che è in lui e in tutti i membri del
genere umano.

L’umanità dell’uomo, però, non è
un dono  concesso a lui fin dalla
nascita.  Fin da quanto apre gli occhi al
mondo, secondo Kant, sono presenti in lui capacità potenziali che, se sono
coltivate adeguatamente, si trasformeranno in abilità vere e proprie. Scrive al
riguardo il filosofo:

L’uomo può diventare uomo solo
attraverso l’educazione …, cioè attraverso un procedimento formativo esposto al
rischio di fallire …. L’educazione ha dunque il compito di promuovere nell’
uomo la piena attuazione, e in primo luogo di promuovere la sua formazione
morale e religiosa… I piani di educazione, inoltre, devono tener presente il
principio educativo che segue: occorre educare i fanciulli non in vista dello
stato presente, ma di un possibile migliore stato futuro del genere umano,
ossia in base all’idea dell’umanità e del destino che le è proprio…. (Kant,
Idea di una storia universale, cit.  ,
pag.  143).

La società, quindi, considerando
che il progresso di ciascuno e di tutti è il fine della vita umana, deve
prestare la massima cura, oltre che all’allevamento dei figli, anche alla loro
istruzione ed educazione, e deve farlo impedendo loro esperienze che li mettano
in pericolo e/o li abituino a comportamenti riprovevoli (educazione negativa),
ed abituandoli, attraverso l’adozione di 
metodologie didattiche e di saperi di cui sono padroni gli insegnanti,
allo studio, all’apprendimento e ad agire sempre più in autonomia consapevole e
responsabile (educazione positiva).

 


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