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Progetto Aversa Diversa
 

Attualità
Meridione indolente Rossana Anselmi Fiorini Van der Borg

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L’indolenza è
un’accezione come un’altra per allontanare il problema del sud, o metterlo in
un angolo remoto della coscienza sociale e politica. Tanti ascrivono al clima
la povertà di una regione rispetto ad altre, di là dei tropici sono le regioni
del nord quelle considerate svogliate. Una deduzione priva di fondamento: per
popolare le Americhe, l’Oceania, sono arrivati esseri da varie parti del
pianeta, lo sviluppo o meno delle società dipende dal grado d’istruzione e dal
buon governo, non dalla mitezza della temperatura.
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Bisogna partire
da un tempo remoto, da congiunture fortuite e no, per capire la situazione presente
nelle regioni del sud d’Italia. Nel XII secolo Federico II di Svevia, imperatore
del Sacro Romano Impero, fu un uomo di raffinata cultura; egli regnò con la
tenace volontà di unire terre e popoli, nell’Italia meridionale e in Sicilia
organizzò un governo centrale con un’amministrazione funzionante, della quale
non vi è traccia nel corso degli eventi successivi. Avendo abolito i dazi
all’interno del suo impero, avremmo tutti da rimpiangerlo ancora oggi. Uomo
troppo lungimirante, si scontra con la Chiesa mettendo in discussione il potere
temporale, per questo sarà scomunicato e descritto come un eretico; deposto da
un Concilio il suo prestigio si appanna, decretandone la fine. Mentre il resto
d’Italia arriva all’Ottocento attraverso fasi alterne, in ogni caso avendo
usufruito del periodo “comunale”, apportatore di vigore nel commercio,
nell’artigianato, nell’economia in generale, il Meridione viveva ancora nel feudalesimo.
La “questione meridionale”, espressione concepita da un deputato dopo l’Unità
d’Italia, rilevava questo scollamento della realtà del sud rispetto ad altre
regioni.  Nel Regno delle Due Sicilie
governato dai Borboni, vigeva una politica paternalistica, i provvedimenti del
sovrano in favore del popolo erano concessi a titolo di benevolenza,
prescindendo da un riconoscimento di diritto. La terra era posseduta dai
latifondisti o dalla Chiesa, era coltivata dai braccianti che producevano per
il padrone e per se stessi. Questi piccoli quantitativi determinavano prezzi
alti, rendendo impossibile il commercio agricolo come avveniva nel nord, dove
si era già affermata un’agricoltura intensiva. Le spese del governo borbonico
servivano per mantenere i soldati e per i bisogni della corte, non certo per
investimenti. In alcune parti del territorio vi erano estese paludi, quella
Pontina e del Fucino bonificate solo in epoca fascista; le strade del regno
erano poco più di mulattiere. Anche se la prima ferrovia italiana con i suoi 8
km è stata quella di Napoli-Portici costruita nel 1839, alla metà
dell’Ottocento quelle del nord si estendevano per 2035 km, quella napoletana si
era fermata a 98 km! Questo certamente non aiutava aperture e scambi
commerciali, la popolazione era molto povera per questo il brigantaggio era una
scelta a volte obbligata. I briganti erano una realtà nota a tutte le campagne
europee, qui però diventano endemici, visti dai più poveri come benefattori,
spesso capi delle rivolte popolari nate dalla fame e dalle ingiustizie. La
situazione non cambiò molto dopo l’unificazione del paese, anche se con
Giolitti molti meridionali ottennero un impiego statale. Avvenne che i deputati
eletti per le regioni del sud si preoccupassero soprattutto delle suppliche e
richieste dei proprietari terrieri, infatti, la vendita dei terreni dello Stato
e della Chiesa finiranno ai latifondisti, e il popolo rimarrà ancora in attesa;
inoltre la costruzione di strade e ferrovie non creerà uno sviluppo economico. Senza
scomodare Giuseppe Tomasi di Lampedusa e il suo “Gattopardo”, bisogna
considerare l’arretratezza e l’analfabetismo della gente, alcuni azzardano a
parlare di familismo amorale, un concetto esagerato dei legami familiari a scapito
dell’interesse collettivo.  Certo il
familismo sproporzionato è stato un modo di controbilanciare le situazioni
governative sempre avverse alla popolazione, però non è pensabile continuare
nell’eterno piagnisteo. La conseguenza dello scarso senso civico non permette
alla società di contrarre un patto di fiducia tra gli individui, questo sbarra
la strada al commercio, all’industria, alla legalità diffusa.  Non si tratta solo di corruzione economica, è
l’indolenza verso le regole a impossibilitare qualsiasi progetto, coniugata
alla diffidenza verso tutto ciò che è estraneo. La democrazia è una realtà da
diverso tempo, la popolazione meridionale ha avuto gli stessi benefici del
resto d’Italia dall’istruzione pubblica, non si può quindi addurre a mancanza
di cognizione la costante preferenza ai clientelismi, la perdurante sottomissione
e connivenza a politici donatari del famoso pesciolino.  Non c’è mai qualcuno a ricordare le proprie
responsabilità, nessuno sprona a dare una spallata a secoli d’immobilismo.  Tante donne e uomini del sud hanno lavorato
con ardore all’estero creando piccoli e grandi imperi, per questo è una grave
colpa non riuscire a debellare in patria l’apatia, come una metastasi distrugge
la parte sana formata dalle nuove generazioni, nate predestinate a un futuro di
sventura o con la valigia in mano. Avranno dei concorrenti agguerriti, visto la
marea umana che invade l’Europa, il rischio è diventare gli ultimi della fila.
Non sarebbe molto meglio prendere il destino in mano e ridisegnare la Storia
avendo a mo’ faro Federico II?


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