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Progetto “Aversa Diversa: 1° Cultura, 2° Turismo”

Progetto Aversa Diversa
 

Letteratura | Pittura | Fotografia | Musica | Cinema | Teatro
“Bocca di pietra” di Maria Cristina Alfieri Luigi Alviggi

Alfieri.jpg

È questa l’opera d’esordio nel campo letterario dell’Autrice
(Milano, 1968), giornalista e direttore editoriale di riviste economiche. Vi è narrata
la saga di una famiglia piemontese, di umili origini ma dai saldi legami
parentali, dagli anni venti del secolo scorso sino ai giorni nostri. Le
vicende, ambientate nei bei luoghi intorno Stresa, godono del magnifico sfondo
delle vedute sul Lago Maggiore. Il lavoro di ombrellaio ambulante, nei tempi
passati, è stata la tradizione passata di padre in figlio, tutti provetti in
questo antico mestiere.
>>>

Giovanni, con il nonno Giulio
protagonisti principali della storia, va all’aeroporto per prendere il Milano –
Roma ma, per colpa del traffico, perde il volo. Il passeggero che lo precede,
nella fila d’attesa per il check-in, riesce ad imbarcarsi con un guizzo
improvviso che lo spinge a saltare le varie transenne di blocco. L’aereo, però,
precipita poco dopo il decollo lasciando ben pochi superstiti. A questo punto,
per il Giovanni miracolato, la vita si frattura in due tronconi, un prima e un
dopo il terribile evento. Da questo si diramerà una serie di avvenimenti di
influenza determinante sugli sviluppi a seguire.

Frastornato dalla tragedia,
Giovanni pensa alla vedova dell’uomo che è voluto partire a forza ed è spinto
ad andarla a conoscere. Desidera condividere lo smarrimento di fondo che lo
possiede ed alleviare, se possibile, il dolore della donna. Iniziano così le
frequentazioni con Elisa e, da una timidezza reciproca iniziale, evolvono man
mano in un amore ardente che spinge i due ad andare a vivere insieme a Milano.
Nella casa da prendere in affitto, per il casuale allontanamento
dell’intermediario, faranno per la prima volta l’amore. La moglie Elena resta
relegata nell’ombra dalla nuova passione del marito.

L’opera è articolata in due filoni
narrativi: uno segue la vita di Giovanni, sceneggiatore televisivo dei giorni
nostri; l’altro quella di Giulio, dal 1924 fino a pochi anni fa. Questi vivrà
per lo più a Nocco (Gignese) le fasi di un’esistenza difficile e travagliata. I
due filoni si alternano nel testo, arricchiti, ma anche distolti, da sequenze
di flash-back e flash-forward volte a tener desta l’attenzione del lettore.

Giulio ha, racchiuso nell’anima,
un trauma devastante. All’età di nove anni, sceso di notte in giardino per far
pipì, è attonito spettatore del suicidio della madre Letizia, neanche
riconosciuta nell’oscurità. La donna viene inghiottita dal pozzo nel cortile,
la bocca di pietra, portatrice nel luogo di pessima fama. È rimasta travolta,
per un investimento sbagliato, dalla crisi finanziaria del ’29. Il marito
Filippo, già disperso da mesi nei vagabondaggi legati al mestiere esercitato,
non si farà più vivo. Perdere la madre per un bambino che poco ha conosciuto il
padre è un dramma doppio, il mondo familiare crolla e ben poco rimane oltre, la
vita assume l’aspetto di uno sconsolato deserto. Giulio cresce, dunque, orfano
di entrambi, affidato alle cure della nonna e di una zia materne, ma corroso
dentro da grandi sofferenze. Si impegnerà nella lotta partigiana e, salvando
una compagna catturata dai fascisti verso la fine della guerra, troverà un
primo sollievo al senso di colpa inconscio che si porta appresso per la fine
della madre. Superato l’apprendistato, si trasferisce a Milano e qui incontra
Gemma. Ne farà la sua sposa, e sarà lei a liberargli il respiro da sempre
compresso. Presto saranno allietati da un figlio, Marco. Ma è solo una
parentesi:

 

“Fu proprio durante una di quelle interminabili serate,
passate
nel retrobottega a cambiare
stecche e rifare cappelletti, che iniziò
a sentirla tossire. Prima qualche colpo, discreto. Poi un susseguir­si continuo, che talvolta andava a chiudersi sordo
in un fazzolet­to portato alla bocca. Sulle prime la scambiò per una tosse sta­
gionale: ne aveva prese tante, lui, sempre là
fuori a urlare al vento
le bellezze
della sua mercanzia. Ma
lei…

* * *

«Non ti spogli?» gli chiese sottovoce Gemma.

«No. Voglio solo starti
vicino. Ho paura per quella tosse…» le
rispose pensieroso.

«Ti ho detto che non è
nulla! Passerà… Perché ti preoccupi
così tanto?»

«Perché ti voglio
bene…»

Gemma gli prese le mani e
le portò alla bocca, le baciò e ci
affondò dentro il viso.

«Sei tutta la mia vita»
gli sussurrò. «Non avrei potuto deside­
rare di più.»

 

Giulio
scostò le coperte e la prese tra le braccia. Ogni volta che
l’abbracciava, si stupiva di quanto fosse minuta. Ormai la conosceva
bene. I fianchi stretti, le gambe sottili, il seno: due collinette asciutte che stavano tutte nell’incavo delle mani,
e ne avanzava
ancora. Aveva imparato a
esplorarla, poco per volta, a vincere le sue resistenze e godere dei suoi
abbandoni. Le sollevò la camicia da notte e si rammaricò, come sempre, di dover
risalire con ruvi­
de dita una pelle
tanto morbida. Usando tutto il garbo di cui era
capace, le aprì le gambe e si fece strada dentro di lei. E mentre il piacere
incominciava a offuscargli il pensiero, senti nel ventre quel dolore. Era tanto che non lo percepiva più. Erano
anni. Eppure
lo ricordava bene, quel
sigillo somatico che chiudeva le sue gior­nate di bambino, mozzandogli il fiato
prima del sonno. Da quan­
do la bocca
di pietra si era mangiata sua madre, non era passata
sera senza che lui avesse sentito quello strazio
nella pancia. Poi,
durante la guerra, si era affievolito, fino a sparire
del tutto con l’ar­rivo a Milano. E adesso
era di nuovo lì, a ricordargli che il morso
della paura affonda meglio i denti quando abbiamo molto da per­dere. Fu un attimo. Lo perse un istante dopo,
nell’ultima spinta
che gli svuotò
l’anima dentro di lei.

* * *

Aspettò
molto, quella sera. I colpi di tosse iniziarono a rincor
rersi e ad accavallarsi come una pioggia di vetri spezzati. E a ogni colpo la sua ansia cresceva un po’. E poi ancora. E ancora. E ancora. Fino a non poterne più.

Si alzò con la testa che
gli scoppiava e al buio cercò i pantaloni che aveva gettato sul pavimento. Li
infilò e scese le scale senza far rumore,
attento a evitare il secondo gradino che cigolava sempre. Prima di scomparire
al piano di sotto, restò a guardarla nella penombra, ancora un attimo. «Grazie»
le disse sottovoce. Fece per­
fino un
sorriso, tra sé e sé. E, nonostante tutti i suoi presentimenti,
non poteva immaginare che, dopo quella notte, non
avrebbe mai
più fatto l’amore con
lei.”

 

Frammenti dispersi divengono utili
a riorganizzare l’opacizzata spirale della memoria per Giovanni, quasi foto del
passato, come le cartoline antiche di Nocco che lui raccoglie per amore del
posto dove è cresciuto ma anche per riconnettersi al passato familiare. Anche
lui, del resto, con madre assente dalla nascita, è vissuto poco con il padre
Marco. Questi ha abbandonato giovane la casa paterna per andare a vivere in
Europa l’esperienza del ’68 e, dopo rare e scarne lettere, ritornerà da lui
solo col figlio in fasce. Lo porta per risarcire il padre del proprio
abbandono, in un insolito gesto di affetto e ringraziamento, ma rimarrà con
loro pochi anni. Spinto lontano da quei piccoli luoghi dallo spirito
d’avventura, prenderà di nuovo il volo per l’India verso ignoti amici,
tagliando del tutto i ponti familiari dopo non molti anni.

Rivive con lui una vicenda analoga
a quella del nonno Filippo, che tradisce la famiglia per pellegrinaggi senza
meta. E Giulio riverserà sul nipote, nell’avanzare degli anni, tutto l’affetto
che non ha potuto dedicare a moglie e figlio. Un altro tentativo di sbloccare i
suoi cronici inceppi mentali.

Seguiamo Giovanni nelle esperienze
di vita di un uomo giovane dei nostri tempi, nei legami di lavoro, nei progetti
di progresso sociale per sé e per Elisa, molla comune della vita di oggi più
che di quella di ieri, nei diversi contatti con gente mai incontrata che a
volte concedono molto, sorprendendo ogni possibile attesa. Giovanni, in
effetti, è l’uomo nuovo della famiglia che vuole liberarsi da panie ancestrali
per volgersi alle esigenze che il mondo odierno, anch’esso ben diverso, impone
ai suoi costituenti. Il ripristino delle vicende familiari rappresenta lo
sforzo di riannodare schegge disperse per ricostruire ricordi, l’unico mezzo
per ribellarsi all’angheria continua del tempo. Il tutto per ripristinare
l’organicità della propria origine e trovare la strada migliore per orientarsi
nella nebbia che circonda il nostro andare.

Di notevole forza narrativa e
fluido timbro letterario, l’opera scorre con un ritmo classicheggiante ove le
frasi sono impreziosite da assonanze originali per oggetti, parole, sentimenti,
antiche usanze. Il fondo crepuscolare di sensibilità partecipante a quanto si
va narrando, dona un tocco particolare all’esposizione. L’Alfieri è portata ad
indagare le cose che ci circondano, a scoprirne riferimenti e associazioni, a
legarle alle tracce di memoria che ognuno si porta dentro nella propria costruzione
del reale.

Giulio è l’uomo di ieri, travolto
dalle tragedie, epico nel suo fronteggiare gli eventi, soccombe perché la vita
non ha saputo munirlo di resistenze pari alle situazioni affrontate e, nella
sua odissea, è quegli che fa meditare sull’assoluta importanza che il fato
riveste nella sorte di ciascuno. Dopo Milano, rimasto di nuovo solo, tornerà a
Nocco per onorare le sue radici e tentare di conciliarsi, avanzato negli anni,
con il suo intimo. Cadrà vittima di un equivoco, del destino beffardo che ha
voluto ancora una volta giocargli uno scherzo:

 

“E anche a te una spada trafiggerà l’anima” aveva
profetizzato Simeone a Maria nel tempio di Gerusalemme. Era ancora un bam­
bino, Giulio, quando a catechismo aveva sentito
declamare per la
prima volta quel pezzo del Vangelo di Luca, ma ne era
rimasto su­bito profondamente scosso. Aveva
avuto, senza capirne il perché,
l’assurda sensazione che il destinatario
di quell’angosciosa profezia fosse anche
lui. E a ogni età della sua vita gli era parso di averne la
conferma. Da piccolo con la perdita della madre,
da adulto con la morte della moglie e la lontananza del figlio. Adesso con
l’ampu­
tazione della parte migliore di
sé, suo nipote.”


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