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Progetto Aversa Diversa
 

Letteratura | Pittura | Fotografia | Musica | Cinema | Teatro
Eleonora Bellini: “L’elefante e la formica”, NonSoloParoleEDIZIONI, 2016 Luigi Alviggi

Questo lavoro rinnova la memoria
sulla celebre figura di Mohandas Gandhi (1869 – 1948), il celebre Mahatma –
grande anima in lingua hindi -, appellativo datogli nel corso di una sua visita
dal poeta indiano Tagore e preso dalla Upanishad, antico testo religioso nel
quale indica l’Essere Supremo. L’uomo, piccolo e minuto, fu l’equivalente di un
Martin Luther King (1929 – 1968) indiano, quale eroico apostolo della non
violenza, e operò fortemente per l’indipendenza della sua nazione
dall’Inghilterra, proclamata nel 1947 grazie all’azione del moderato Partito
Nazionale del Congresso. 

In esso Ghandi fu parte molto
attiva e, dopo quasi un secolo come colonia britannica – la cosiddetta “perla
dell’Impero” -, il grande paese raggiunse la sospirata libertà. Il subcontinente
venne diviso in due stati: l’India, a maggioranza indù, e il Pakistan, a
maggioranza musulmana a dispetto dell’ideale ghandiano che avrebbe auspicato una
unica nazione. Pochi mesi dopo il Mahatma fu assassinato a Delhi da un fanatico
religioso indù. Il sottotitolo del libro recita “Gandhi nelle lettere del
nonno“: la narrazione si articola sulla disamina appunto di lettere
scritte dal vecchio Bapu (nonno) Raykhumar al nipote Ghaffar per fargli meglio
conoscere le grandi qualità dell’uomo. E Bapu anche chiamavano tutti
affettuosamente il vecchio Gandhi.

Un gruppo di amiche, tra le quali
la narratrice, riunite a Parigi in anno recente, hanno la fortuna di conoscere
l’avvocato Ghaffar, ormai anziano, ed essere introdotte nella vicenda accennata: 

Ghaffar cominciò a leggere
e fummo trasportate in un Paese e in un’epoca lontani. Ghaffar leggeva, leggeva
e la storia che usciva dalle sue labbra era così grande che ne fummo rapite. La
sera si trasformò in notte e poi in notte fonda
e noi quasi non ce ne accorgemmo, tanto eravamo
affascinate.

L’opera di Gandhi parte
dall’evidenza che il popolo indiano vive in grande povertà perché sfruttato
dagli occupanti, un viceré governava tutto per il re d’Inghilterra. Gli inglesi
si arricchiscono pagando pochissimo la fonte primaria, cioè il lavoro degli
indigeni, e arrivando al punto di imporre cosa coltivare al solo fine di
massimizzare il proprio profitto. Per tal motivo poco venivano seminati generi
commestibili e la fame era l’altro grande spettro da debellare nella sterminata
nazione. Gandhi sfruttò al massimo le elementari armi della disobbedienza
civile, del digiuno e della preghiera, per giungere dove le armi sicuramente
non avrebbero portato. Divennero suoi costanti strumenti di lotta e lui fu più
volte imprigionato, però l’assenza generale di cooperazione da parte dei
connazionali con i colonialisti iniziò, pian piano, a dare i suoi frutti.

Un passo simbolico e
irrevocabile fu il pubblico rifiuto che Gandhi fece di tutte le medaglie e
onorificenze ottenute dal governo
britannico: nel 1920 le restituì al viceré,
accompagnandole con una lettera che è rimasta famosa e che concludeva: “un governo che si è macchiato
di
immoralità e di ingiustizia deve
essere condotto a
pentirsi. Ho
suggerito al mio popolo la non-cooperazione,
che permette di dissociarsi da esso e di costringerlo a cambiare, ma senza violenza”.

L’esempio di Gandhi fu
seguito da molti: magistrati, studenti,
intellettuali.

Così Raykhumar – coltivatore di
indaco per la tintura del cotone, divenuto poi stretto collaboratore del
Mahatma – lo contatta la prima volta nel 1917 per chiedere la cancellazione
della “macchia d’indaco”, cioè la miseria cui lui e i compagni di lavoro sono
condannati. E fu questa una delle prime vittorie che il Mahatma portò a segno
contro il governo nella sofferta e lunga lotta verso l’indipendenza. Altra
battaglia saliente fu la marcia del sale, per abolire gli assurdi dazi
britannici su di esso.

Ad arricchire il testo, oltre i molti
sapienti precetti del maestro, sono riportate leggende, una sorta di parabole,
che vogliono aprire la mente e il cuore di chi ascolta a verità profonde e a
regole di vita di essenziale importanza. L’India era allora un paese travagliato
socialmente molto più di oggi, ricco solo di tabù, antiche tradizioni e severe
divisioni sociali. La prima linea d’azione per il progresso fu lavorare sul
fronte interno per abbattere anacronismi non più rispondenti alle esigenze di
uno stato moderno:

«Dobbiamo puntare
all’autosufficienza e all’autonomia, sia nella nostra comunità che nella
nazione» ci spiegava Gandhi «Il popolo
indiano è povero, ma non ha bisogno di
elemosina,
deve piuttosto ritornare alle    attività
tradizionali come la filatura a mano,
che un tempo
sostentava i villaggi.
Ecco perché vi esorto a vestire come me il dhoti, l’abito tradizionale dei
contadini, confezionato
soltanto con
tessuto fatto in casa.»

Il più grave di questi
pregiudizi, che egli definiva “il peccato
dell’India”, era l’emarginazione assoluta che
pativano gli appartenenti alla casta degli
intoccabili. La
disuguaglianza
decretata dal sistema delle caste, gruppi
sociali isolati, separati gli uni dagli altri, paralizzava l’India. Ed era, inoltre, l’affermazione palese dell’ingiustizia, codificata senza possibilità di
uscita e di
riscatto in questo mondo.
Più in basso di tutti erano gli
intoccabili,
isolati, disprezzati e con i quali nessuno voleva
avere contatti.

Gandhi
aveva deciso che questa divisione non doveva
esistere nel suo ashram. Per questo motivo egli stesso ogni mattina svolgeva i compiti più umili, quelli da sempre riservati agli intoccabili: spazzava i rifiuti dalle strade e puliva i gabinetti comuni.

Gandhi definisce gli intoccabili harijan
(figli di Dio).

Eleonora Bellini è autrice di
molte opere letterarie sia per adulti che per ragazzi, spaziando dalla poesia
alla saggistica. Il registro dell’Autrice è lieve, limpido, piacevole. Per
molti versi ben si adatta al linguaggio e alla dottrina del Mahatma,
ammaestrare pacatamente chi ascolta – nel caso chi legge – per indurlo a
trovare autonomamente la strada verso la verità, niente affatto facile da
raggiungersi per i più. L’espressione letteraria rende fedelmente il difficile
momento storico col quale Gandhi dovette confrontarsi tra connazionali che, in
pratica, partivano da zero in tutti i snsi, e con un mondo che quasi ignorava
ogni realtà della società indiana. Egli diceva:

«Come
un elefante, malgrado le
sue buone
intenzioni, è incapace di pensare come una
formica, così un Inglese è incapace di ragionare come un Indiano.»

Nel libro sono riportati anche un
vocabolarietto, che spiega termini specifici usati nel testo, una breve ma
esauriente biografia, e indicazioni su pubblicazioni, e non solo, collegate.
Per tutte citiamo il bel film Ghandi (1982) di Richard Attenborough
(regista e attore inglese) che nel 1983 ottenne ben otto Oscar, tra i quali
quello come miglior film. È anche più volte citata l’opera Gandhi
(1924), prima biografia del politico di Romain Rolland (1866 – 1944), celebre
scrittore francese premio Nobel per la letteratura nel 1915, che si rivelò
fondamentale per la conoscenza dell’uomo in Occidente. Di questi citiamo:

Poco importa il successo. È
importante essere grandi, non sembrarlo.

 


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