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“Il commesso” di Bernard Malamud Luigi Alviggi

Questo romanzo, del 1957, dette celebrità all’Autore, vincitore in seguito di due National Book Award e di un Premio Pulitzer negli USA. Il padre di Malamud era un droghiere di Brooklyn, buon uomo mite e gentile come MorrisBober, il protagonista del libro: “bober” in yiddish è un soggetto o una cosa di poco valore. Bernard Malamud(New York 1914-1986), maestro di Philip Roth, uomo discreto, figlio di ebrei russi immigrati, cresciuto in una casa senza libri, risentirà l’influenza dei film di Charlot visti da ragazzoper tutta la vita. Il giovane che si avvinghia al mondo come meglio può è l’emblema di un umorismo intriso di profonda tristezza, cifra del sommo comico Chaplin, che poi è il substrato, a ben vedere, di tutti quanti vogliono praticare il mestiere di divertire gli altri. Questo lavoro è l’epopea della sconfitta umana, appena dietro l’angolo per troppi, e la minuziosa epifania di un perdente, di un uomo provato dalla vita e da pesanti difficoltà economiche e, a supero del limite della misura “onestàfatta persona”, che cerca di mantenersi a galla rifugiandosi in sogni a occhi aperti o nel rincorrere ostinatamente vie di fuga inesistenti nella realtà di una vita senza appoggi.

Afferma Malamud “scrivo degli ebrei perché questo tema infiamma la mia immaginazione: conosco la loro storia, le loro esperienze, il loro credo”, ma rifiuta l’etichetta di scrittore ebreo. E ancora: “sono convinto che la storia sia l’elemento base della narrativa”. Storia da intendere nel senso di invenzione dell’immaginazione da parte di chi intende intrattenere gli altri con le parole, e dunque deve creare dal nulla qualcosa che li leghi a quanto va raccontando con intenti affabulatori. Quest’ultimo termine è la nota precipua del libro: uno stile pacato, un linguaggio quotidiano, un periodare scorrevole, un racconto tranquillo da porgere ai familiari intorno al camino nelle sere d’inverno di una volta, prima della tv, un padre che narra la storia di un conoscente dalla quale, comunque, c’è molto da apprendere. Laureato in lettere, docente, l’Autore viaggerà a lungo per l’Europa sostando a Roma ed è proprio di quegli anni questo libro, “The assistant”. Scrive Marco Missiroli nell’ottima prefazione:

 

“Destino, sacralità, morale. La cattedrale di Bernard Malamud scardina i miraggi quotidiani con una storia che è il pun­to massimo nella lotta tra un omino giusto e un immenso Dio impietoso”.           E più avanti:   ““Il commesso” è questo, il manifesto di una vita inclinata e di una dignità salvata. Beato chi lo leggerà per la prima volta.”

 

Morris, un sessantenne ebreo poco osservante, manda avanti con la moglie Ida da oltre vent’anni un piccolo negozio ma i tempi si vanno facendo sempre più magri, stritolato com’è dalla concorrenza e dall’aspetto degli esercizi vicini, gestiti da tenutari più giovani e ben più ricchi. Ha una figlia giovane mentre il figlio Ephraim è morto anni addietro anticipando le disgrazie a venire. Siamo nella New York degli anni ’50. La routine asfissiante dei giorni sempre uguali distrugge Boberancor più degli anni. E la sua semplice vita può riassumersi in quanto dice rivolgendosi alla moglie:

 

«Quando il negozio era buono, chi aveva voglia di vendere? Dopo, quando sono venuti i tempi difficili, chi aveva voglia di comprare?»

 

E, poiché il male può non aver mai fine e lui ha l’abitudine di chiudere il negozio tardi la sera per accogliere qualche cliente ritardatario, ecco una rapina che doveva essere per il locale vicino del ricco Karp e crolla invece sulle sue misere spalle:

 

Morris vide il colpo calare e si sentì nauseato da se stesso, dalle speranze deluse, dalla continua frustrazione, dagli anni sprecati, tanti che non poteva nem­meno cominciare a contarli. Aveva sperato molto nell’Ameri­ca, e avuto ben poco. E per colpa sua Helen e Ida avevano ancor meno. Le aveva derubate, lui e quel negozio che succhiava il sangue.

 

Poi ecco la ventata nuova: il 25nne Frank Alpine, un goy di origine italiana, lo soccorre, evitando una caduta a lui ancora malfermo per la botta in testa ricevuta e un po’ per volta, nelle ricorrenti visite mattutine appena il negozio apre, vuole a ogni costo aiutarlo nel lavoro. Non pretende paga, dice che vuole imparare e Morris non capisce nemmeno cosa ci sia da apprendere in una vita elementare come la sua e in una bottega prossima al fallimento. Ma Frank non è tanto diverso da lui, le cose gli scappano di mano senza che se ne renda conto e non è riuscito a soffermarsi su nulla. Anche se giovane, la vita non si fa scrupolo di mostrargli il lato peggiore. È, quindi, alla disperata ricerca di una sistemazione che gli eviti di andare a fondo proprio come sta succedendo. A Morris fa pena ma, timoroso di problemi, rifiuta l’aiuto. Poi scopre che Frank è davvero più disperato di lui, ruba la mattina, prima che apra il negozio, una bottiglia di latte e due pagnotte per non morire di fame, e dorme nascosto nella sua cantina per non morire di freddo. Si commuove allora e accetta la collaborazione.

La giovane e bella figlia Helen, poco più che 20nne, è segretaria in una ditta di biancheria per signore e ha abbandonato le amicizie di scuola e gli studi per le ristrettezze in cui la famiglia si dibatte. Il sogno mancato è l’iscrizione all’università. Viene corteggiata dai giovani del vicinato ma non sa decidersi. Consegna lo stipendio al padre che ne ritorna solo una piccola parte. Si ritrova amareggiata e non sa spiegarsi come, né cosa cerca:

 

«Quando una persona è giovane, è privilegiata, è piena di possibilità. Ti possono capitare cose meraviglio­se, e quando ti alzi al mattino senti che andrà di sicuro così. Vuol dire questo, essere giovani, ed è ciò che ho perduto. Ades­so ogni giorno mi sembra uguale a quello prima e, quel che è peggio, uguale al giorno dopo».

 

A fronte della convalescenza di Morris, Ida tollera la presenza di Frank che si dà da fare per migliorare l’aspetto della bottega e accrescere le vendite. Dal canto suo, è fin troppo contento di non essere più un vagabondo. Gli resta il desiderio di conoscere meglio Helen, che Ida gli tiene lontana restando molto sospettosa. Il giovane, in effetti, è in bilico con se stesso. Madre morta poco dopo il parto, padre inesistente, è cresciuto in orfanotrofio poi è scappato dalla famiglia adottiva e poco si conosce. Il fondo non è cattivo ma è stato travolto dai giorni e dalla povertà. Ricorda di frequente, sforate dalle nebbie dell’infanzia, i racconti su S. Francesco d’Assisi uditi nella struttura d’accoglienza, e a volte si sente ispirato da chi, ricco, ha scelto la povertà.

Aumentati gli incassi, la coppia gli raddoppia la scarsa paga ma, nonostante questo, Frank fa la cresta sulle vendite, tacitando la coscienza con il fatto che l’aumento è merito del suo duro lavoro. La cosa però non lo tranquillizza e resta turbato. Spia Helen nella doccia arrampicandosi pericolosamente fino al finestrino del bagno: sa che non è bene ma non riesce a rinunciarvi. I malesseri partono da lontano, è lui uno dei due rapinatori di Morris ma è stato l’altro, Ward, a dargli la botta in testa con lui contrario. Ward è il figlio degenere del poliziotto di quartiere che lo ha cacciato di casa e ora lo cerca per portarlo in galera avendo saputo di suoi crimini. Frank poi è legato perché, per liberarsene, gli ha consegnato una pistola ricevuta illegalmente e Ward lo ricatta.

Non è però solo questo, ora ha scrupolo dei soldi sottratti perché compiange Morris e tutto il mondo di poveri clienti che entrano nel negozio. Sono dei vinti, dei perdenti al penultimo stadio, e tutto lo spinge a commiserarsi perché pensa che non è un gran passo quello compiuto, è solo caduto dalla padella nella brace. Ma non sa uscirne. Se almeno Helen gli concedesse confidenza potrebbe risollevarsi un tantino e tentare di uscire dalla palude in cui è immerso. La vita di sofferenze di tutto il circostante lo appesta in maniera incontrollabile, è un morbo che lo trova indifeso lasciandolo tramortito. Il fetore che gli spira da dentro lo spinge a una qualsiasi catarsi: inizia a pensare di dover confessare a Morris di essere stato uno dei rapinatori. Un riscatto penoso da compiere per sollevarsi dal pattume in cui si trova, la pena da espiare per tentare di tornare indietro.

L’apertura di un nuovo negozio vicino, con le offerte a prezzi stracciati, annulla tutto il faticoso lavoro di Frank. Questi, per aumentare gli insufficienti guadagni, si trova un lavoro notturno, quasi non dorme più e cerca di risalire l’erta china con Helen fissa in mente. Nemmeno Morris si risparmia. Le tenta tutte: dall’andare a chiedere lavoro a un vecchio socio che lo ha truffato anni addietro e adesso naviga nell’oro – e di “commessi” ne ha tanti nel suo enorme supermercato -, ma non dura neanche un giorno, fino a fare il lavapiatti che neppure riesce a reggere. Ancora una volta il gancio dell’indifferenza sociale e di una vita avversa lo stende al tappeto senza esitazioni.

Poi per Frank una sera, dopo un incontro provocato nella biblioteca in cui va a leggere libri, eccolo camminare nel parco con Helen al chiaro di luna, dopo l’assenza in sostanza di contatti precedenti. Lei, a causa della madre, vedendo in lui un pericolo sta sempre sulle sue, e ora non si capacita di passeggiargli al fianco. Ancora più strano, si siedono su una panchina e iniziano a raccontarsi un po’ delle proprie vite. Il primo piccolo passo si rivela consistente anche se i due non lo realizzano: qualcosa, al fondo, inconsapevolmente muove l’uno verso l’altro. Frank dice di avere progetti per il futuro, è ambizioso e legge molto, proprio come lei. Helen gli fa prendere in prestito dei grandi romanzi. All’inizio Frank non gradisce e poco capisce, poi le cose migliorano. Una cosa lo colpisce profondamente:

 

non poteva smettere di pensare alla rapidità con cui andavano in rovina le vite di cer­te persone che non riuscivano a decidersi ad agire in un determi­nato modo al momento giusto; lo turbava il pensiero della faci­lità con cui un uomo poteva distruggere tutta la propria vita con un solo gesto sbagliato. Poi, qualunque cosa facesse per riparare al suo sbaglio, uno era destinato a soffrire per sempre.

 

In seguito le fa due regali, belli e costosi, che lei non accetta restituendoli. Li recupera il giorno dopo, gettati nel bidone dei rifiuti vicino casa, e le si stringe il cuore. Ma tiene il punto, anche se le salde fondamenta iniziano a oscillare. Percepisce nell’uomo un che di misterioso eppure in qualche tratto la avvince. E da qui all’innamoramento il passo non è lungo poiché “le riusciva difficile tenere sotto fermo controllo le proprie ragioni, come un tempo”. Il fascino dell’amore impossibile fa capolino, sa che darà un dolore enorme alla madre ma non riesce a fermare la valanga che ancora s’illude di tenere sotto controllo.

 

Ciò che più le fa­ceva paura era il grande compromesso: aveva visto tante per­sone di sua conoscenza rassegnarsi e accettare molto meno di ciò che avevano sempre desiderato. Temeva d’essere costretta a scegliere oltre un certo limite, di accettare una vita meno bel­la, molto meno bella di quella che aveva desiderato: di accetta­re una volta per tutte un destino remoto dai suoi ideali. Sape­va di non doverlo fare, sia che significasse scegliere Frank op­pure lasciarlo andare. Il suo costante timore, alla base di tutti gli altri, era che la vita non le riuscisse come l’aveva desidera­ta, o che le riuscisse del tutto diversa. Era pronta a cambiare, a sostituire una cosa con un’altra, ma non voleva rinunciare alla parte sostanziale dei suoi sogni.

 

Pur avendo amato uno dei corteggiatori, ricco e alle soglie della laurea, una cosa resta ferma: a ogni costo non si concederà a lui. E giunge la fase sospesa e trasognante: la potenza dell’amore misconosciuto forza a pensare l’uno la necessità di sacrificarsi per riuscire a far fare l’università all’altro. Proprio quando al derelitto Frank la porta del paradiso sta per schiudersi, ecco tutto crollargli addosso. A un appuntamento notturno nel parco la sottrae a un agguato di Ward ma, travolto dai sensi, le usa violenza, uccidendo colpevolmente l’amore di leiproprio quandosi appresta a confessarglielo. Brucia in un attimo tutto quanto costruito a fatica. Capisce di essere un dannato per qualunque cosa voglia intraprendere e il duro gelo crescente nella coscienza gli toglie il respiro. Helen ora, con profondo ribrezzo, lo evita in ogni modo. Morris lo caccia via malamente e solo un mortale pericolo domestico scampato grazie a lui gli permetterà di rientrare. Poi Morris esagera nelle intemperanze. Frank ricomincerà dall’inizio, questa volta più maturo e pronto a sacrificare ogni speranza di futuro a beneficio di Helen. Il cammino sarà impervio, ancor più di quello affrontato sino allora, ma la speranza ha forza per abbattere ogni barriera.

Malamud è un finissimo descrittore di personaggi. Ne penetra la psicologia e, nel rincorrerli a lungonei pensieri, li descrive e consegna perfetti in pregi e limiti,mutandoli in conoscenti, amici quasi, dal momento che finiamo per intenderli meglio di tanti altri che, pur ronzandoci intorno, mantengono intatta l’estraneità dietro una facciata di disponibilità non sappiamo fino a che punto sincera. Questo mondo denso di storie – proprio ciò che confessava fondamentale l’Autore – è la formula segreta che ci lega alle pagine del libro condividendo emozioni e soffrendo per le aspre difficoltà incontrate dalle figure descritte. Conosciamo soggetti veri inogni caratteristica,cui man mano ci andiamo affezionando e che, amandoli o disprezzandoli, ci tengono comunque avvinti al loro destino come persone autentiche e note. In specie su Helen e Frank sappiamo tutto, gli alterni movimenti di ripulsa e avvicinamento, e il terribile errore commesso da Frank con lei ci intristisce quasi ne fosse stata vittima una persona vicina.

Il miglior giudizio su Morris, amorevole e rassegnato, frullerà alla fine nella mente di Helen:

 

il babbo era onesto, ma che va­lore aveva la sua onestà se non gli permetteva di esistere in que­sto mondo? …Povero papà. Era onesto per natura e non credeva che per altri essere disonesti fosse una cosa altrettanto naturale. Così non riusciva a tenersi le cose che aveva sgobbato tanto per ottenere. Dava via, in un certo senso, più di quello che possedeva.

 

E chi sa che il destino, sazio di aver infierito sin troppo su Frank, non gli fornisca la possibilità di riscattarsi una volta e bene per tutto il tempo a venire. E regalargli finalmente la pace, ignota per lui sin dal primo giorno di vita: la lunga frequentazione con Morris gli ha insegnato tanto. Forse potrebbe diventare addirittura il salvatore di una famiglia disastrata come poche altre, resa oramai esausta dalla impari lotta con i flutti di un mare iroso quant’altri mai…


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