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Attualità
“Il governo afghano ha lasciato il paese allo sbando” intervista al colonello Valentino de Simone Salvatore de Chiara

L’aversano Valentino de Simone, colonnello dell’Esercito, ha una lunga esperienza di Afghanistan, è stato una prima volta nel paese asiatico con ruoli operativi come Capo di Stato Maggiore della Brigata Alpina Taurinense, poi per oltre tre anni, dal 2015 al 2018, è stato Addetto per la Difesa dell’Ambasciata italiana a Kabul. Attualmente è a capo della Divisione Cooperazione Civile-Militare del Quartier Generale NATO di Napoli. La vicenda afghana delle ultime settimane lo ha colpito negativamente, non nasconde amarezza e delusione per la scelta di abbandonare l’Afghanistan e aprire le porte al ritorno dei talebani. In una lunga intervista abbiamo avuto con lui un confronto di ampio respiro sulle vicende afghane e sulle prospettive di quello che fu il Paese degli aquiloni.   

 

In che modo era percepita la presenza occidentale dai civili?

La popolazione afghana è tradizionalmente molto ospitale. In particolare, gli italiani godevano di una palpabile stima, apprezzamento, simpatia da parte della popolazione locale. Per quanto possa sembrare lontano, l’Afghanistan ha molti punti di contatto culturali con i paesi mediterranei. Non si sono mai registrati atti di ostilità da parte della società civile afghana in tanti anni, il che è davvero gratificante.

 Negli ultimi anni quale è stata la situazione militare sul campo?

A partire dal 2014, le forze regolari afghane furono incaricate di provvedere autonomamente alla difesa del territorio contro la guerriglia senza quartiere condotta dai talebani e da ISIS-K, una versione locale dell’ISIS.

I regolari afghani, durante questi anni, sono stati equipaggiati ed addestrati dalla NATO e, con alterne vicende e qualche rovescio, sono riusciti a tenere sotto controllo il paese sebbene vi fossero intere regioni controllate dall’insorgenza talebana.

Le forze armate regolari di ogni paese del mondo trovano nelle istituzioni centrali e nel favore del popolo che difendono non solo la loro legittimazione morale, ma soprattutto spirituale. Da esso traggono la linfa più preziosa per un combattente, che vale più di mille cannoni: la motivazione. Con il ritiro delle forze della coalizione NATO dall’Afghanistan, il governo locale e il presidente hanno, fondamentalmente, cercato soltanto una via di fuga lasciando l’esercito afghano allo sbando. Una situazione che mi ha riportato alla mente la drammatica esperienza vissuta dall’esercito italiano l’otto settembre 1943.

de Simone tra i bambini di Kabul

Dal suo punto di osservazione, potevano dirsi giustificati gli ottimismi sulla tenuta in combattimento delle forze armate afghane?

Francamente, ottimismi non sono mai stati espressi. Piuttosto, preoccupazione e qualche incertezza. Certamente non ci si aspettava che il disfacimento del fronte interno avvenisse con tanta rapidità ma, a ben vedere, era plausibile. L’Afghanistan durante questi venti anni è stato, di fatto, un paese molto supportato e anche protetto dalla NATO, come lo è ad esempio il Kosovo sin dal 1999. Se un amico ed alleato forte è obbligato a lasciarti solo, le difficoltà possono essere insormontabili

 Il ruolo italiano nella formazione del personale afghano?

Gli italiani, assieme a tanti altri paese membri della NATO, ha svolto una lunghissima missione di “Training, Advising and Assisting” (addestramento, consulenza e supporto – ndr) sia per le unità militari dell’esercito afghano sia per gli alti comandi ed i comandi operativi. L’Italia ha anche offerto molti pacchetti di corsi di specializzazione, su base annuale, che si sono svolti sia presso la nostra base ad Herat sia in Italia. In Italia abbiamo anche formato molti ufficiali dell’esercito e dell’aeronautica afghana presso le nostre Accademie Militari.

I talebani possono avere una effettiva capacità militare, anche utilizzando i materiali abbandonati dall’esercito?

I talebani non hanno le competenze né le capacità per reimpiegare i mezzi abbandonati nelle basi militari afghane. A parte le camionette blindate, che tutti possono praticamente guidare, non dispongono di piloti per i velivoli né di tecnici per gli apparati radio né di specialisti di artiglieria. Di sicuro possono riutilizzare l’armamento leggero rinvenuto o sequestrato ma questa circostanza è del tutto ininfluente e non può minimamente accrescere la loro capacità offensiva.

Quali crede che possano essere le evoluzioni della situazione nel medio periodo?

I talebani hanno trovato molti amici, nel ribaltamento del quadro geopolitico regionale. Alcuni amici li avevano già tra i paesi confinanti e vicini, tra i quali il Pakistan e l’Iran. Altri si sono fatti avanti con rinnovato slancio come la Russia e la Cina che – in pochi lo sanno – confina con l’Afghanistan, ricchissimo di minerali preziosi e rari come il Litio e il Talco, fondamentali per la fabbricazione di batterie e componenti elettrici.

Il governo talebano dovrà, nel medio periodo, occuparsi piuttosto del fronte interno dove un’intera generazione di afghani è ormai cresciuta con una visione della vita, delle opportunità, dei diritti del genere umano profondamente diversa da quella offerta dal modello fondamentalista.

Le manifestazioni, le proteste delle donne per le strade del paese erano inimmaginabili venti anni fa. Oggi invece esse, assieme ai giovani, sfidano a testa alta un’autorità che non usa mezze misure per reprimere. Queste sfide, queste lotte, queste battaglie del popolo afghano sono la testimonianza più palpabile del lavoro fatto dai paesi della Coalizione NATO, dall’ONU e dalle agenzie internazionali in questi venti anni. Anni che non sono stati “inutili” come qualcuno ha detto. Sono invece gli anni che hanno plasmato la generazione del futuro dell’Afghanistan.

 


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