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Attualità
I risarcimenti agli IMI mettono in stallo il decreto PNRR Salvatore de Chiara

E’ tornato alla ribalta il caso degli internati militari italiani,  gli “schiavi di Hitler”, e dell’annosa questione dei risarcimenti dovuto dallo stato tedesco. Davanti alla sezione Esecuzioni del Tribunale di Roma si è discussa, infatti, l’autorizzazione alla vendita dei beni pignorati alla Repubblica Federale di Germania, tra cui la sede del prestigioso Goethe Institut, della Scuola germanica,  la palazzina dell’Istituto archeologico tedesco ed anche l’Istituto storico germanico, tutti ubicati a Roma. Nel corso dell’udienza i difensori dei creditori, gli eredi dei deportati italiani, e gli intervenuti hanno prospettato la questione di legittimità costituzionale su cui il giudice si è riservato di decidere.

In particolare sono stati sollevati i profili problematici determinati dall’inserimento dell’art. 43 nel decreto legge sul PNRR, varato lo scorso 30 aprile, con cui è stata richiesta l’estinzione del procedimento esecutivo. La norma era stata infilata in gran fretta dal governo nel decreto PNRR per scongiurare un incidente diplomatico con la Germania, dopo che, respingendo l’opposizione di Berlino circa la presunta immunità degli Stati davanti alla giurisdizione esecutiva, il tribunale italiano aveva accordato un riconoscimento diretto ad alcuni eredi di deportati, capovolgendo quello che fino ad ora era stato l’orientamento prevalente: il risarcimento collettivo basato sull’accordo tra gli stati, con la possibilità per i cittadini aventi diritto di accedere ad eventuali elargizioni da parte dei propri governi.

La estinzione del procedimento  presenterebbe, secondo gli avvocati, un  “rischio di illegittimità” in assenza della normativa di attuazione, prevista dall’art. 43 ma non ancora adottata e contenuta in una norma che, destinata per sua natura alla conversione eventualmente con modifiche, rischia di privare di tutela chi ha titoli esecutivi costituiti da sentenze definitive, come gli eredi del signor Angelantonio Giorgio. La vicenda di quest’ultimo è stata particolarmente dolorosa, il 9 settembre 1943, in assenza di ordini dopo l’armistizio, cercò, dal nord Italia,  di ritornare a casa al Sud, ma viene fermato alla stazione di Modena dalla SS che ispezionavano il treno, riconosciuto come militare viene dapprima deportato a Mosbach per essere destinato al lavoro forzato e poi, dopo un sommario processo, a seguito del rifiuto di arruolarsi nella RSI, fu accusato di tradimento e internato a Dachau, fu liberato solo a guerra finita. In prigionia subì seri danni fisici e psichici, divenne presto cieco e presentò disturbi del comportamento, nel 2006 decise di iniziare una causa di risarcimento danni contro la Repubblica Federale di Germania. Nel 2009 morì senza aver ottenuto giustizia, e per lui i suoi figli hanno voluto continuare la causa contro la Germania.

Il processo, che ha visto il patrocinio degli avvocati Giorgio Fregni da Modena e Salvatore Guzzi, professore di diritto a Napoli, ha avuto il suo esito esecutivo a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale del 2014: la Consulta ha ritenuto, infatti, che il riconoscimento dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione, anche dove dichiarato dalla Corte Internazionale di Giustizia, fosse da considerarsi contrario al principio di accesso al giudice da parte di chi si trova sul territorio della Repubblica, secondo l’articolo 2 e l’articolo 24 della Costituzione. Nel procedimento esecutivo, iniziato dall’avvocato Guzzi per il signor Giorgio ed i suoi eredi, è, successivamente, intervenuto il figlio di un deportato partigiano, Diego Cavallina, difeso dall’avvocato Fabio Anselmo, e la Prefettura di Voiotia, difesa dall’avvocato Joachim Lau.

 

L’avvocato Salvatore Guzzi

«Abbiamo prospettato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 del D.L. 36/2022 – spiega l’avvocato Guzzi – La mera previsione di un fondo italiano per il risarcimento delle vittime di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità compiute dallo Stato tedesco crea una situazione di estrema incertezza, in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza 238/2014. Ad oggi, infatti, a quasi un mese dall’adozione del decreto legge, la normativa di conversione non è ancora intervenuta e, soprattutto, mancano le disposizioni di attuazione, con previsione delle modalità di accesso al fondo, delle tempistiche di pagamento, della graduazione delle domande. Ancora più grave, in questo quadro di totale incertezza, è la previsione dell’estinzione delle procedure esecutive intraprese da coloro che hanno titoli esecutivi».

 

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