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Sandokan si pente in carcere SdC

Il superboss della camorra Francesco Schiavone, passato alla storia e alle cronache come Sandokan, sarebbe intenzionato a collaborare con la giustizia. Dopo una vita votata al crimine e 26 anni di carcere duro, da alcune settimane ha iniziato a parlare con i pubblici ministeri, prima nel carcere di Parma poi, dopo un rapido trasferimento concordato, a L’Aquila, dove ora starebbe raccontando i retroscena della organizzazione criminale di cui è stato uno dei capi storici.

Una scelta analoga è stata già compiuta anni fa da due dei figli del boss, Nicola e Walter, mentre gli altri due figli Emanuele e Carmine restano in carcere trincerati dietro un muro di omertà. Alcuni dei familiari sono già entrati nel programma speciale di protezione, mentre il fratello Antonio Schiavone ed il figlio più piccolo Ivanhoe hanno rifiutato la protezione e sono rimasti a vivere a Casal di Principe. Sandokan era emerso nel gruppo alla guida del clan dei casalesi alla fine degli anni ’80, dopo la misteriosa scomparsa in Brasile di Antonio Bardellino, nella una lunga spirale di omicidi e di vendette che ridisegneranno la geografia criminale della provincia casertana emerge come uno dei capi più sanguinari e decisi, insieme a Mario Iovine e Francesco Bidognetti, traghettando l’organizzazione criminale dal controllo delle attività illegali nel territorio tra Napoli e Caserta al traffico internazionale della droga ed all’accaparramento degli appalti pubblici nell’Italia del nord, ma è soprattutto con il grande business nazionale dello smaltimento rifiuti che la camorra casalese farà un grande salto di qualità ed imporrà la propria presenta devastante al martoriato territorio campano.  

Da quanto è stato arrestato in un bunker sotto la propria casa a Casale, l’11 luglio del 1998, Francesco Schiavone si era sempre rifiutato di collaborare con la giustizia, adesso questa decisione a sorpresa potrebbe essere stata dettata dalla durezza di quasi un trentennio di regime duro al 41bis e dalla speranza di ottenere qualche miglioramento carcerario per sé e di consentire un futuro meno segnato ai familiari non coinvolti direttamente nelle vicende criminali. La circostanza che abbia deciso di cedere dopo molti anni pone in ogni caso delle domande, e molti, dall’ex procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho al sindaco di Casale Renato Natale, sperano possa fornire anche delle risposte ai molti punti oscuri di un trentennio di malavita, in particolare ci si aspetta che Schiavone faccia luce sulle connessioni dei casalesi con il mondo dell’imprenditoria e, soprattutto, sui quei politici di riferimento che hanno offerto per anni appoggi e protezione al clan, rimanendo sempre al di fuori delle grandi inchieste. I magistrati vorrebbero arrivare anche ai soldi, la parte più importante e più difficile da intercettare degli interessi criminali, sicuramente il boss è a conoscenza dei movimento di denaro e degli investimenti nella economia legale, in particolare i conti esteri.

Ad esattamente trent’anni dall’uccisione di Don Peppe Diana, il parroco anticamorra ucciso nella propria chiesa proprio per ordine dei capi dei casalesi, la scelta di Schiavone fa segnare un’altra vittoria per lo stato. 


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